Antropologo a domicilio n°68 (26.1.2021)

D’accordo, la Shoah non ha confronti possibili, d’accordo è il Male assoluto. Il progetto scientifico di eliminazione radicale di un popolo intero dalla faccia della terra, senza altre motivazioni se non quella della eliminazione stessa, senz’altri scopi se non quella di sterminarlo non era mai avvenuto nella storia umana. D’accordo.
Ma questa sua unicità non deve diventare un alibi per girare la faccia da un’altra parte oggi davanti agli orrori che si consumano, noi presenti ad assistervi.
Negli anni della Shoah furono in tanti a girare la faccia da un’altra parte. Tantissimi.
E sono costoro che devono fare più impressione, devono destare più raccapriccio. Perché il raccapriccio per quelli che dello sterminio degli ebrei ne furono autori e complici, e degli altri che se ne avvantaggiarono rubando loro case, proprietà, oggetti, soldi, il raccapriccio per costoro è facile. E rischia di essere un comodo e utile esercizio di autoassoluzione: io sono diverso, noi siamo diversi, siamo tutt’altra pasta degli aguzzini e degli approfittatori, giammai noi l’avremmo fatto. Ce lo diciamo con orgoglio, e si chiude tutto qui.
E invece sono proprio quelli che girarono la faccia da un’altra parte, che oggi ci richiamano e ci inchiodano alle nostre attuali responsabilità. Poiché per altri orrori — d’accordo incomparabili con la Shoah, ma l’orrore al fondo ha una sostanza unica, l’orrore è sempre vuoto di umanità — per altri orrori noi stiamo comportandoci allo stesso: giriamo la faccia altrove.
Cos’altro ci deve essere mostrato in video, detto in testimonianze, descritto in cronache perché ci sentiamo finalmente chiamati in causa dall’orrore di cui siamo testimoni?
Mi riferisco ai bivacchi al ghiaccio che in queste settimane raggruppano decine migliaia di poveri esseri umani alle periferie dell’Europa, agli altri che stentano nei campi profughi. Ai loro inutili e ripetuti tentativi di varcare le sue frontiere, alle migliaia di viandanti che scompaiono nei sentieri gelati delle montagne, a quelli che ce la fanno e che vengono violentemente riportati indietro. Mi fermo qui nella descrizione. Chi vuole può documentarsi, leggere, vedere video. Basta solo volerlo. Google, Youtube possono anche servire a questo (e se qualcuno proprio non ci riesce, può chiedermi qualche link).
D’estate il mare Mediterraneo è un gigantesco cimitero. Ma almeno ci teniamo stretti l’alibi che chi ce la fa a oltrepassarlo e arrivare da noi non è brutalmente e immediatamente respinto (almeno di regola). E invece d’inverno chi ce la fa viene brutalmente e immediatamente respinto. Senza tanto clamore mediatico. Con accordi sottobanco di governi europei e non.
Molti dicono — anche tra chi mi sta leggendo molti lo diranno — ma che c’entriamo noi? qualcuno aggiungerà: mica possiamo accoglierli tutti?
E qui riprendo la Shoah. Che d’accordo fu Male Assoluto. Però anche allora c’erano molti che per motivazioni simili — o anche diverse, non è questo il punto — girarono la faccia da un’altra parte.

Ci sono leggi, trattati internazionali che tutelerebbero i diritti elementari degli esseri umani che oggi subiscono violenze e soprusi disumani alle porte dell’Europa. Vi sono trattati firmati da tutti i paesi, vi sono codici legislativi perfetti. Carta straccia, parole vane, come quelle che abbondano nelle bocche dei politici che ne straparlano. Carta straccia e vento vano. Di fronte alla paura di perdere i consensi elettorali i politici arretrano e noi, noi giriamo la faccia da un’altra parte.
Paolo Rumiz ha raccontato un episodio della sua esperienza di giornalista su cui ha taciuto vent’anni. In un campo profughi — che importanza ha ora che qui precisi quale? — scoprì una famiglia di profughi, quattro persone, padre, madre due figli, completamente muti. O meglio, ammutoliti, fissi in una immobilità di dolore che coinvolgeva anche il loro figlio piccolo, che non giocava, e neppure accettava giocattoli. A fatica si scoprì il loro oscuro segreto. Lungo sentieri innevati e ghiacciati di una catena montuosa che dovevano attraversare per raggiungere l’Europa — davvero che importanza ha quale catena montuosa esattamente fosse? — cani feroci e poliziotti spietati alle spalle, i genitori si trovarono a prendere una decisione terrificante. Erano in sei, quattro figli, il primo grande e forte, ce la faceva a camminare da solo. L’ultimo stava sulle spalle del padre. In mezzo altri due figli. Che non ce la facevano più, rallentavano la marcia, i cani e i poliziotti erano vicini, sempre più vicini. Padre e madre si consultarono a lungo, forse piansero, alla fine decisero. Il padre prese per mano i due ragazzi, diede a ciascuno una caramella, disse qualche parola, li condusse sul limite di un baratro della montagna che stavano scalando, li buttò giù, sperando che sfracellandosi morissero sul colpo. Per salvare gli altri due figli.
Orrore. Possiamo continuare a girare la faccia dall’altra parte? E allora a che servirebbe mai il Giorno della Memoria?
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