ArchivioAntropologicoApolito n°25 - 5.7.2023

Marcello Colasurdo non è più. È stato per decenni un’interprete tra i più qualificati della rifunzionalizzazione delle tradizioni musicali popolari campane. Una grande personalità espressiva e performativa, un capostipite forse irraggiungibile. Indubbiamente lascerà un vuoto difficilmente colmabile. Ma qui io voglio ricordare una sua qualità che a me sta molto a cuore: la sua generosità festiva. Una festa riesce se le persone che partecipano sono generose le une con le altre. Altrimenti diventa una parentesi dal lavoro che al termine lascia tutti estranei. Marcello su questo piano era un generoso, io l’ho osservato molte volte. Era un animatore di felicità. E non era scontato che lo fosse, dato il ruolo quasi sacerdotale che gli veniva riconosciuto. Tra i miei materiali d’archivio ho un piccolo frammento di una sua partecipazione a Campusinfesta, all’università di Salerno, che risale al 1997. Vi propongo un piccolo saggio di etnografia di un contesto festivo. Da osservare con cura la mimica di Marcello, il commento di gesti e di postura che fa (in questo caso a Giovanni Coffarelli), che sono una prova di come lui mettesse le persone a suo agio, anche se questo gli costava uno spazio in meno nella performance musicale e canora. Questi sono i punti salienti (tutti richiamati con didascalie anche nel video): Esordisce cantando: “noi siamo una famiglia, chi tiene voce, canta”. A Giovanni, che “tiene voce”, sta comunicando: "non ci sono problemi, canta pure accanto a me, non ti lascerò fuori". Chi ha osservato all’opera cantatori provenienti da “piazze” diverse, sa quanto spesso vi siano rivalità, a volte malcelata ostilità, tra loro, per niente disponibili a cedere facilmente il turno. Marcello invece apre cantando “noi siamo una Famiglia”, cioè rompe il ghiaccio e dice a Giovanni: "siamo insieme nella stessa festa, cantiamo insieme". Poi fa un inchino e gli cede il posto (come organizzatore di Campusinfesta, per me è una “felicità” ricordare il ruolo importante che aveva Marcello, diversamente da altri che dovevo tenere a bada nelle loro rivalità) . Quando Giovanni ha terminato la prima strofa, Marcello accenna a prendersi il turno, ma Giovanni lo ferma. Marcello sorride e fa un gesto quasi di scuse. Poi partecipa mimicamente ai versi cantati da Giovanni: continua a sorridere e s’inchina ridendo per i versi comici (cioè lo rassicura: "siamo amici". Quante volte ho visto in situazioni del genere il cantatore silenziato che manifestava segni di fastidio o peggio!). Da notare: Giovanni è così compiaciuto della partecipazione di Marcello, che quando lo vede distratto dai saluti di un amico sopraggiunto, gli mette una mano sulla spalla quasi a richiamarlo a fargli ancora da pubblico compiaciuto (un cantatore che fa da pubblico compiaciuto di un altro è quasi una rarità: a meno che non siano già sodali). Nel frattempo Marcello mormora a Ugo Maiorano (che da parte sua, aspetta gli diano il via per suonare la tammorra) che dopo avrebbe cantato lui una fronna. Però quando Giovanni termina, Ugo (forse disorientato dal fatto che lo stesso Marcello scuoteva il tamburo, come segno di attacco della tammorriata) entra con il ritmo della tammorriata. Marcello non può più eseguire la fronna che stava per fare, è evidente un attimo di sua sosta perplessa (altri avrebbero fermato con una mano il braccio che suonava il tamburo; lo stesso Giovanni lo aveva fatto poco prima con lui), ma poi entra anche lui in tammorriata e si adegua al cambiamento di scena. Un piccolo, minuto frammento che però mostra, secondo me chiaramente, quanto lui fosse dotato di quella qualità fondamentale che io chiamo “generosità festiva”. Forse è per questo che molti lo ricordano con sincero dolore (ed io mi associo), perché dove c’era lui c’era la felicità della festa riuscita e la memoria di lui è associata a memorie di felicità.
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