Non avevo mai letto integralmente Il diario di Anna Frank. Brani e pezzi, citazioni e contesti, ma mai le pagine del diario giorno dopo giorno dal 12 giugno 1942 al 1 agosto 1944. L’ho fatto in questi giorni, in concordanza con la “giornata della memoria”. Ed è stato un bene. Perché andava letto oggi. Questo diario è contemporaneo e attuale. Questo diario è scritto oggi. Lo so che Anna concretamente lo ha scritto in quei due anni e due mesi, e che poi suo padre scampato al massacro della famiglia lo ha pubblicato qualche anno dopo. Ma penso che i lettori che lo lessero la prima volta nel 1947 (in Italia nel 1954) non ne fecero il tesoro che se ne può fare oggi. Perché loro guardarono al passato ancora molto vicino, ma che si allontanava giorno dopo giorno. Invece oggi quel diario parla al presente e ancor più al futuro. La sua attualità sta nel fatto che Anna Frank è un fantasma che torna oggi e forse domani, e si riveste di nuova vita e rischia di essere di nuovo messa a morte. Migliaia di volte.
Anna Frank fu uccisa in quanto portatrice di un’etichetta che le era stata assegnata da altri, lei era “EBREA”.
Il diario di Anna Frank è un documento della bellezza dell’essere umano, della grazia, dell’intelligenza, è un documento della poesia, del sogno, è un documento dell’amore, per come può essere vissuto da un’adolescente. E poi di altro, perché la vita umana è anche altro. Nel rifugio segreto ad Amsterdam c’erano amore e solidarietà, ma anche incomprensioni, fraintendimenti, equivoci, piccoli egoismi e pentimenti. Nella sua scrittura intima, solitaria, segreta, Anna racconta il “fastello di contraddizioni” che è l’essere umano. Soprattutto quando è collocato in quelle condizioni drammatiche. Anche letterariamente, questo diario ha un valore altissimo. Che bisognerà continuare a diffondere, a farne oggetto di contemplazione, di riflessioni, discussioni. Ha una forza seminale di altra bellezza, altra poesia, altra intelligenza, che non è esaurita, al contrario ha una sua contemporaneità, perché è in grado di parlare alle donne e agli uomini che vivono oggi nelle grandi contraddizioni del presente. Nuovamente pieno di etichette.
La mattina del 4 agosto 1944 Annelies Marie Frank viene prelevata dalla Gestapo — insieme alla madre, al padre e alla sorella, oltre ad altre quattro persone che stanno da oltre due anni chiuse e nascoste in un rifugio segreto ad Amsterdam — portata nel lager di Bergen-Belsen in Bassa Sassonia, uccisa di stenti otto mesi dopo. Puff! Anna Frank non c’è più. La bellezza, la grazia, l’intelligenza, la poesia, il sogno, l’amore, puff! non ci sono più. “Il mio maggior desiderio è quello di diventare giornalista e poi scrittrice celebre”, no Anna, tu non lo sarai mai, perché tu stai per morire a Bergen-Belsen, e puff! non ci sarai più. Perché? ho compiuto qualche delitto? ho ucciso, ho rubato, ho tradito? No, perché sei Ebrea. Puff! sei Ebrea e dunque ti mettiamo a morte, puff! Anna non c’è più. Sì, è vero io sono ebrea. Però sono anche una ragazza di tredici, di quattordici, il 12 giugno 1944, due mesi prima dell’arresto, faccio quindici anni, e scrivo. Che importanza ha che sono ebrea, questa è solo un’etichetta, io sono Anna, sono Anna Frank, con le fossette alle guance quando rido, mi vedete nelle foto? E scrivo, scrivo bene, almeno così mi sembra, e “sono io il critico migliore e più severo. So che cosa è ben scritto e che cosa non lo “. Io ho voglia di vivere la mia vita, e “penso che rimane sempre qualche cosa di bello, la natura, lo splendore del sole, la libertà, noi stessi; è un possesso che non si perde”. Ma a noi chi tu sia veramente non interessa, che tu sia bambina o vecchia, che tu sia donna o uomo, che tu sia scrittrice o levatrice a noi non interessa, tu per noi sei solo un numero. Un numero della mandria di ebrei da mandare al macello, e puff! ti mettiamo a morte. Solo perché sei ebrea. Tu muori perché hai un’etichetta appiccicata addosso. Il tuo nome non è Anna, il tuo nome è “Ebrea”, il resto non ci interessa.

“Romeo e Giulietta”, Shakespeare, Giulietta è al balcone, parla con Romeo che è sotto; Romeo è un Montecchi, porta l’odiato cognome, l’etichetta che impedisce ai parenti di Giulietta di vederlo come il bel giovane innamorato di Giulietta: “ Ma poi, che cos’è un nome?… Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome? Così s’anche Romeo non si dovesse più chiamar Romeo, chi può dire che non conserverebbe la cara perfezione ch’è la sua?”. Forse che quella ragazza che chiamiamo Ebrea, se la chiamassimo solo Anna non conserverebbe la cara perfezione di essere una ragazza di tredici-quattordici-quindici anni che quando sorride fa due fossette sulle guance (“anche una al mento”, aggiunge Peter, che s’è innamorato di Anna vivendoci accanto nell’”alloggio segreto”), e che quando sarà grande forse sarà una giornalista e una scrittrice celebre, e che già ora, adolescente, scrive in maniera mirabile?
Anna è Ebrea e dunque viene uccisa. Nome-etichetta-condanna.
Mentre leggevo le pagine del diario veniva di chiedermi: ehi! ma a chi interessa che Anna sia ebrea? non certo a chi legge il suo diario e ammira la sua intelligenza, grazia, acutezza. Non certo a chi rimane sedotto dalla sua ironia, dall’autoironia, dall’acutezza dello sguardo sulla condizione drammatica in cui era posta insieme agli altri e al tempo stesso dalla capacità di evadere con l’immaginazione, il sogno, la scrittura, la straordinaria palpitante scrittura. In cui si intravede la grande scrittrice che sarà. Che sarebbe stata se l’avessero fatta vivere. E allora a chi interessa che Anna sia ebrea? Interessa alla Gestapo, ai nazisti, ai razzisti di tutto il mondo. Ma a parte loro, chi tra noi qui oggi direbbe prima di tutto, prima di tutto il resto, che Anna è ebrea? cioè chi tra noi sentirebbe questa identità come il fatto più rilevante?
Ma di più. Metto da parte il suo diario e dico: se incontrassimo questa ragazzina per strada, a scuola, in palestra, al supermercato, al mare o dove diavolo volete voi, chi direbbe “eccola! è un’Ebrea!”. Voi lo direste? Prima di tutto il resto è questo ciò che direste? “è un’Ebrea”? Siete dunque della Gestapo, siete nazisti che vi interessate tanto che Anna sia ebrea? ditelo allora, ditelo, “sì, siamo della Gestapo, siamo nazisti, siamo razzisti. E se pure non lo siamo anzi ci ribelliamo scandalizzati per questa affermazione — “noi non siamo razzisti!” — senza saperlo li fiancheggiamo, sosteniamo la loro ideologia senza accorgercene, la rendiamo attuale, moneta sonante, euro in corso”.
Qui c’è un passo avanti da fare. Qui la memoria diventa traccia di impegno di vita. Sì, perché, OK, è assodato che a me Paolo non interessa proprio che Anna sia EBREA. E anche a voi, scommetto anche a voi. Però, ne viene in conseguenza che non mi interessa neppure che Nelson Mandela sia SUDAFRICANO, che Albert Schweitzer sia FRANCO-TEDESCO, che Michelangelo sia ITALIANO, che Marie Curie sia POLACCA poi naturalizzata FRANCESE. Fatti suoi, fatti loro. L’elenco continuerebbe a lungo, l’elenco delle donne e degli uomini che è stata una grazia divina siano venuti al mondo e abbiano qui lasciato una grande traccia benefica per il resto dell’umanità. Ma a chi interessa di quale etichetta siano portatori? Agli storici interessa, giusto, ai filologi, a chi deve raccontarci il contesto da cui nacque questo o quel genio, giusto, ma alla gente comune perché dovrebbe interessare più di tutto il resto? A quale infermo salvato da una iniezione di penicillina interessa sapere che chi l’ha scoperta era INGLESE? Chi direbbe: “ehi! mi state dicendo che Fleming era un INGLESE? Ah, allora io non voglio l’iniezione che mi salverà la vita, non la voglio”, chi lo direbbe? voi lo direste?
E vado avanti, vado avanti. Perché ne viene di conseguenza che neppure di quelli che nascono e muoiono senza lasciare nessuna traccia dovrebbe interessarmi prima di ogni altra cosa se siano EBREI, CATTOLICI, MUSULMANI o BUDDISTI. Se siano ITALIANI, RUSSI o RUMENI. Se abbiano gli OCCHI celesti o abbiano i CAPELLI crespi. Se abbiano la PELLE nera o non superino il metro e sessanta di ALTEZZA. Non dovrebbe interessarmi e in realtà non mi interessa. Fatti loro (come fatti miei che sono ITALIANO, ALTO così e OCCHI colì, PELLE parapa-qua e CAPELLI parapa-là). Nascono, vivono muoiono come me, come tutti. Hanno lo stesso diritto di farlo come me, come voi, come tutti. Perché? — per tornare a Shakespeare, stavolta quello del Mercante di Venezia — “non ha occhi un giudeo? Un giudeo non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni, non s’alimenta dello stesso cibo, non si ferisce con le stesse armi, non è soggetto agli stessi malanni, curato con le stesse medicine, estate e inverno non son caldi e freddi per un giudeo come per un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Non moriamo se voi ci avvelenate?”

Shylock, il mercante di Venezia, non è una bella persona, proprio no. Ma è questo il punto, su cui Shakespeare ci fa riflettere, proprio questo è il punto: che tipo di PERSONA sia Shylock, non che ETICHETTA porti. Shylock non è una bella persona, mentre Anna lo è. OK, valutiamoli allora per questo motivo e non perché sono GIUDEI. Insisto, questo è il punto vero, valutiamoli come persone singole non etichette collettive: brava persona/cattiva persona; santo/assassino; onesto/ladro.

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Ehi! ma perché continuo a parlare solo degli EBREI? perché Anna Frank era EBREA? E allora ci casco anch’io! Allora sotto sotto mi interessa che lei fosse EBREA? Ehi, ma io dico sul serio: che importanza ha? Eh no, mi direte, ce l’ha l’importanza: siamo vicini al “giorno della memoria”, che è dedicato alla Shoah! D’accordo. Però a cosa deve servire la memoria, a evitare gli errori del passato o a rinnovarli? C’è antisemitismo oggi nel mondo, c’è questa mala pianta, lo so. Ancora oggi c’è, ed è terribile. Ma non è l’unico razzismo che oggi alza la voce. Ce ne sono altri. Altri, potenti e prepotenti, sparsi ai quattro angoli del mondo. Con alcuni focolai di infezione vivissimi, terribili. E alcuni politici senza scrupoli che soffiano sul fuoco. Infami che la storia condannerà.
EBREO non è oggi l’unica etichetta su cui i razzismi sputano. Se alla voce di Shakespeare applico una slot-machine che con un click muta etichette invece che numeri, che ne verrebbe fuori oggi? “Non ha occhi un MIGRANTE? un PROFUGO? un SIRIANO? un CURDO? un PALESTINESE? un YAZIDA, un ROM? un SINTI? un MUSULMANO? un CRISTIANO (altrove che qui in Europa)? un SARAWANO? (chiedete ad Amnesty International come prosegue il lungo elenco). Insomma, non ha occhi questo o quest’altro essere umano mai visto come individuo, mai considerato se non come portatore di un’etichetta, e per questo negato, respinto, vilipeso, scelto come capro espiatorio, massacrato? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni, non s’alimenta dello stesso cibo, non si ferisce con le stesse armi, non è soggetto agli stessi malanni, curato con le stesse medicine, estate e inverno non son caldi e freddi per lui — semplice numero in una mandria — allo stesso modo che per un cittadino riconosciuto nella sua identità personale?”.
In questa newsletter tradisco il mio status di osservatore distaccato, mi sento chiamato in causa, spinto a prendere posizione. E allora la dico tutta: a me non interessano più i nazionalismi, gli etnicismi, con tutto ciò che si tirano dietro, le chiusure, le espulsioni, i respingimenti, i muri, i confini, non mi interessano. Ci metto una croce sopra. In passato guardavo con simpatia all’orgoglio, all’identità, alla nazione, all’etnia, oggi vedo queste cose come una minaccia. Dietro ci vedo mani pronte a far scattare le manette, la contenzione, il treno di trasporto, il lager, la camera a gas. Ci vedo mani (non teste, non teste pensanti!) pronte a uccidere Anna Frank. E che quotidianamente si allenano manovrando etichette che degli esseri umani fanno mandrie. No, io non voglio usare più queste etichette. Non voglio con esse accatastare insieme esseri umani come spighe di un covone di grano. Sono individui distinti, con nome e cognome, con vita autonoma, con diritti umani, sono persone come me, come te, come Anna. Anna Frank uccisa a Bergen-Belsen in quanto portatrice di un’etichetta, parte di una mandria, spiga di un covone, zac! tagliata via con la falce messoria, puf! Anna non c’è più. Scriveva Anna: “Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei”. E’stato. È stato ed è e può essere ancora per tante altre stupide etichette oggi, se non ci alziamo in piedi e urliamo: NO! A cominciare dai nostri discorsi. Dalle trappole in cui le parole usate da tutti fanno cadere i nostri pensieri. Slogan sulla bocca di tutti che sono pensiero-non-pensato. Non-personalmente-pensato. Stereotipi, stupidità, acqua portata al mulino del razzismo. Che continua oggi a inserire Anna Frank nella mandria corrispondente alla sua ETICHETTA. E insieme a lei milioni di PERSONE nel mondo.
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