Siamo diventati clienti di un gigantesco mercato globale che ormai comprende tutto. Tutto l’universo intero. Trasformato in prodotti e venduto nel supermercato globale. Non c’è più nulla che ne rimanga fuori. Ben più che Anna Frank, alla fine dei conti: Dio, la vita biologica, la tua stessa identità, tutto dentro questo mercato. Tutto, qualunque cosa tu voglia, può essere comprato o venduto. E se neppure sai cosa vuoi, entra nel “sito”, cerca pure e troverai ciò che neppure sapevi di cercare. Avevi mai pensato che potevi vestire come Anna Frank? che potevi portare il suo orologio, potevi scrivere il tuo diario sul suo? Puoi tutto, tu puoi tutto. Ops! Per caso ti ha stufato Anna Frank? Nessun problema: c’è un campionario di meraviglie che aspetta solo te. Finalmente il trionfo del capitalismo avanzato. Tutto tutto tutto è diventato merce. Ma guarda: il vecchio Marx!
L’affronto maggiore ad Anna Frank non sta nell’azione stupida e scellerata degli ultras laziali. Perchè da quella ci difende l’indignazione. L’affronto maggiore è nel risucchio che è toccato anche a lei e alle vittime della Shoah. Il risucchio della mercificazione. Ma questo risucchio ha tirato dentro l’universo intero. E allora l’affronto non è solo ad Anna Frank, ma alla nostra umanità. Però a questo affronto partecipiamo ormai tutti.
Nariko sta cominciando a risolvere i suoi problemi con la mamma. Lei è manager di un’importante azienda di cosmetici e non riesce a conciliare le sue attività con le necessità di assistenza della mamma ultraottantenne. Non pensa di ricoverarla in una casa per anziani, perché la mamma è sufficientemente autonoma. Ha provato con badanti, ma ognuna aveva le sue criticità. Personali, di capacità, di indole, di cultura. Ora che ha fatto entrare in casa Pepper, le cose vanno molto meglio. Pepper è un robot. Che può sostituire un essere umano in molte cose. Per esempio può fornire assistenza medica, spiegare l’evolversi diagnostico e sorvegliare le terapie della mamma. E non in un modo “inumano”, poiché è in grado di leggere e interpretare le emozioni umane. Quando poi la mamma avanzerà nell’età forse Nariko potrà rivolgersi a Robear. Che è un altro robot dedicato all’assistenza agli anziani. È capace di sollevare un paziente da un letto e poggiarlo su a una sedia a rotelle e viceversa, e se l’anziano è in grado di stare in piedi e camminare, ma deve essere aiutato, con lui può farlo. Poi ci sarebbe Paro. Speriamo il più tardi possibile o forse mai per la mamma di Nariko. Certo Paro da solo non può molto. Ma ciò che sa fare è indispensabile per l’assistenza di una demenza senile. Assomiglia a una foca di peluche, però non è un giocattolo. Fornisce una pet therapy senza le controindicazioni di un cagnolino. Che fa i suoi bisogni e dunque sporca. E che poi non sopporterebbe di essere maltrattato dall’anziano in preda a una crisi. Il mondo della robotica per l’assistenza agli anziani sta facendo passi da gigante perché i suoi prodotti promettono di garantire assistenza medica, rispetto degli orari delle medicine, servizi, e sono anche di compagnia. Poi, non chiedono ferie, non vogliono aumenti di salario, non hanno a loro volta famiglia. Né pretendono quel rispetto che certe volte gli anziani stentano a riservare alle persone che li assistono, non si offendono e possono essere in grado di sopportare gli umori bruschi degli assistiti. Il Giappone è all’avanguardia per la robotica di cura agli anziani. Ma questa si sta diffondendo in tutto il mondo sviluppato. Anche in Italia vi sono interessanti esperimenti.
Un’inchiesta del 2011 mostrava però che in Giappone le persone anziane, almeno quelle ospedalizzate, continuavano a preferire assistenza umana a quella robotica. Un rapporto umano con l’infermiere meglio che con un robot. Ma ora sembra che le cose stiano cambiando e che la preferenza sia ben distribuita tra umani e robot. Questo cambiamento si ripercuote anche nel sesso.
A quanto pare la diffusione di bambole robotiche del sesso si sta diffondendo tra gli uomini giapponesi in maniera consistente: se ne vendono circa 2000 all’anno. Ma la sessualità è un campo a sé. La prostituzione da sempre richiama più o meno una sessualità orientata a un “oggetto”. Non a una “macchina”, ma neppure a un essere umano. Invece la questione dell’età anziana è altra.
Una società molto avanzata economicamente non sa che farsene in genere dei bambini e degli anziani. Li “assiste”, appunto, non li include. I bambini però sono “inconvenienti” che hanno almeno il “merito” di diventare prima o poi grandi. E cominciare a produrre. Gli anziani no. Si aspetta solo che muoiano. E nel frattempo danno grattacapi. Anche di natura economica. Sì, perchè in tutto il mondo sviluppato lo scenario dei prossimi decenni appare drammatico da questo punto di vista. Gli anziani aumenteranno perchè saranno le aspettative di vita ad aumentare. E invece si ridurrà la percentuale di adulti attivi nel mondo del lavoro. Cioè di coloro dal cui reddito di lavoro dipende l’assistenza agli anziani. Ecco perchè la robotica di cura agli anziani appare una buona soluzione.
Del resto, occorre abituarsi all’idea di un futuro in cui le “macchine” non saranno altra cosa dalle “persone”. In cui non sempre sarà possibile distinguere tra umani e protesi tecnologiche. Già ora, in verità, siamo a buon punto. Basta prendere in mano il nostro smartphone.
Non hanno molto senso i commenti moralistici, tipo: “ah, ma la gente dipende dal suo smartphone, ah, che disdetta, si perdono i rapporti umani autentici…”. Nell’uso quotidiano lo smartphone è parte di chi lo usa. Per esempiosolo per parlare delluso di base, elementare rispetto alle possibilitàlapparecchio fornisceanzi meglio, suggerisce, anche senza richiestalorientamento spaziale quando ci si sposta, la sorveglianza sui propri dati di salute, la gestione delle relazioni, la conoscenza delle notizie del mondo. Questi usi non sono futili aggiunte alla vita. Sono la vita stessa di un essere umano contemporaneo. Nell’era dello smartphone, ciò che riguarda il corpo vivente non gli viene esclusivamente da corpi viventi (il suo e quello degli altri), perché lo smartphone “pensa”suggerisce, agisce, orientae dunque è ormai parte del corpo vivente. Non credo che chi usa quotidianamente uno smartphone si senta vittima della “macchina”. Non credo che senta di esserne “dominato”. Se lo smartphone gli ricorda questo appuntamento, gli indica questo percorso stradale per evitare il traffico, gli suggerisce questo oggetto o persona (o ristorante o negozio o farmacia o cinema o altro), non è che lui senta di cedere alla tecnologia la sua autonomia. Temo sia anacronistico (che non significa “sbagliato”, ma fuori tempo) segnalare il rischio di dominio delle macchine. Esse sono già nella nostra vita, in un intreccio che ci fa già in buona sostanza umani-macchine.
La tecnologia fa oggi il mio corpo così come lo fanno i libri letti, le musiche ascoltate, oltre che le vene, le ossa, i muscoli e così via. Io sono anche il mio smartphone.
Ma tutta la problematica sta proprio in questo ”anche”.
Torniamo agli anziani, torniamo al Giappone.
L’attuale soluzione di riduzione dei costi per l’assistenza agli anziani grazie ai robot è un successo. Ma solo per ora. E’ provvisoria, non definitiva. Per ora il costo dell’assistenza agli anziani della famiglia promette di ridursi grazie a loro. Una volta acquistato un robot, le spese di mantenimento sono ben minori di quelli di una badante. Ma in futuro il problema si ripresenterà ingigantito. E non a livello della singola famiglia, bensì a quello dell’intera società: in termini macroeconomici la percentuale di popolazione attiva sarà pari o addirittura inferiore a quella della popolazione non attiva.
Già.
Com’è noto, il Giappone fatica a sopportare le migrazioni. Ci tiene all’integrità “etnica” e quindi scoraggia l’arrivo di immigrati. In questo il Giappone è una metafora del mondo sviluppato. In cui si vanno diffondendo sempre di più pretese di “purezza” etnica che pensavamo abbandonate nei bassifondi della storia del Novecento.
Lasciatemi ora parlare in termini di utopia politica del mondo. O se volete in termini di un problemino matematico da scuole elementari (la logica ai primi passi certe volte è meglio delle sofisticate logiche settoriali).
Siamo una specie vivente. Unica nel suo genere. Perché fondiamo biologia e cultura in una misura che nessun’altra specie può permettersi. Siamo la stessa speciecioè non ci sono differenze biologicamente significative tra popolo e popoloe siamo intelligenti. Cioè potremmo decidere per il meglio.
Certe parti del mondo presentano un surplus di anziani. Altre parti del mondo presentano al contrario un surplus di giovani. D’accordo, direte, messa così la questione è davvero troppo elementare, davvero troppo da problemino matematico da quarta elementare. Dimentichi la politica? e l’economia? e le religioni? e i simbolismi nazionalistici? e il peso del passato? e tutto l’insieme dei dati storici che rendono greve e pesante il mondo attuale? pieno di confini e di sospetti reciproci? Ok, accetto la critica. Avevo ridotto la complessità a un troppo elementare problemino matematico.
Però lo avevo avanzato sullo sfondo di un pensiero di utopia politica. Certo, davvero anacronistico oggi (il che non significa “sbagliato”). Utopia politica: e chi ne parla più? Beh, io penso che farla ogni tanto potrebbe almeno servire a mantenere attiva la nostra mente (intelligente). Non rassegnarla a pensare che lo status quo sia immodificabile. Cioè che sia la Natura delle cose. Poiché ciò che non si può modificare e è solo il dato biologico. Il resto è Storia, e potrebbe essere modificato, come tutto nella storia si modifica. Tra trent’anni, quarantaper chi ci saràun paese che ha popolazione anziana pari a quella attiva non avrà davanti a sé solo la soluzione del robot tuttofare che dà assistenza e non sporca e non si lamenta, ma potrebbe avere avere anche altre soluzioni. Che deriverebbero da una riserva di programmi di utopia politica. Può essere allora importante cominciare già da subito ad allenare la mente con l’utopia.
Perché ciò che la questione di Pepper e di Robear e di Paro rischia di mettere in crisise presa a senso unico in un certo modoè lavvenire stesso dellumanità. La tecnologia robotica (e bisognerebbe estendere la riflessione allIntelligenza Artificiale nel suo complesso) fornisce servizi indiscutibilmente utilissimi (basti pensare a quella chirurgica!). Se peròecco che torna quell’”anche di sopra essa si limita ad aggiungersi e integrarsi con il “dato” umano. Non a sostituirsi. Perché il “dato” umanoquesto sì, immodificabile!è che noi siamo costituiti dalle relazioni con gli altri. Prima che di qualunque altra cosa, noi siamo fatti di relazioni umane (anche di smartphone e di robot e di ciò che volete, ma prima di qualunque altra cosa, di relazioni umane). E allora, se l’uso della robotica mirasse a ridurre fino a cancellare questa “datità”, non potrebbe che preparare la rovina dell’umanità. Per ora non è così, ma è bene tenere la mente aperta e allenata. All’Utopia.
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