
Antropologo a domicilio n°78 (16.2.2022)
C’è una storiella indiana che racconta di un elefante che arriva in un paese di ciechi. Il primo cieco tocca la proboscide e dice: “questo è un serpente”, arriva il secondo che tocca l’orecchio e dice: “ma no, questo è un’ala di uccello”, infine arriva il terzo che tocca una zanna, “ehi, vi dico io cos’è: questo è un rinoceronte”. Poveri ciechi, nessuno capisce di che animale si tratti poiché nessuno vede l’intero.
Pensavo a questa storiella mentre riflettevo sulla foto che ha fatto vincere al fotografo turco Mehmet Aslam il prestigioso premio Siena International Photo Awards (SIPA) con uno scatto fotografico di notevole intensità che ha commosso il mondo. Ritrae Mustafà, un bambino siriano senza arti superiori e senza gambe, insieme a suo padre, privo di una gamba.
“La storia di Mustafa – riporta Repubblica del 20 gennaio scorso - 5 anni, nato senza arti forse per colpa del gas sarin inalato dalla madre Zeynep durante un attacco chimico del regime di Assad, e di suo padre Munzir, cui è stata amputata la gamba destra, è stata raccontata da Repubblica il 3 novembre scorso. Dopo l'articolo, e grazie al Siena International Photo Awards (Sipa) che prima ha premiato lo scatto del fotografo turco Mehmet Aslam poi ha lanciato una campagna di raccolta fondi, è partita una corsa alla solidarietà: oltre all'ospedale di Budrio e al Bambin Gesù di Roma, anche il pediatrico Meyer si era detto disponibile a visitare e operare Mustafa. Il piccolo, infatti, ha bisogno di essere sottoposto subito a un intervento allo stomaco e poi di protesi. Del caso si sono interessati Viminale, Farnesina e Alto commissariato Onu per i rifugiati, che hanno collaborato per trovare il modo migliore per portare in Italia la famiglia di Mustafà”.
Che bella storia a lieto fine! Sono felice per Mustafà, davvero, forse ce la farà a trovare un parziale rimedio alla tragedia di essere nato nel momento sbagliato nel posto sbagliato.
Però lasciando adesso da parte Mustafà, mi chiedo, non è che sto facendo come i ciechi della storiella indiana? Sono felice del lieto fine (speriamo) della vicenda di Mustafà, ma non è solo la proboscide, o l’orecchio o la zanna dell’elefante tutto questo?
Ehi, Mustafà, lo sai che sei stato salvato da una foto poiché noi qui in Occidente siamo buoni quando vediamo le foto terribili, ci commuoviamo e subito dopo diventiamo generosi (almeno per qualche settimana)? Cosa dici, Mustafà? che avresti preferito nascere con le gambe e le braccia in un paese senza guerra, piuttosto che ricevere tutta questa solidarietà? E che noi non stiamo vedendo l’intero ma solo un pezzo della tua storia?
E inoltre che l’elefante è davvero grande e tra le cose che non vediamo, c’è anche che tu sei stato “sorteggiato” da una foto, tra un numero sterminato di tuoi coetanei che non è stato sorteggiato e dunque non si è salvato e non si salverà?
Un altro pezzo dell’elefante lo ha rivelato quel comunista di papa Francesco, che una volta ha detto: “Tante volte penso all’ira di Dio che si scatenerà contro i responsabili dei Paesi che parlano di pace e vendono le armi per fare le guerre”. E poi non contento, ha aggiunto, “gridano le persone in fuga ammassate sulle navi, in cerca di speranza, non sapendo quali porti potranno accoglierli, nell’Europa che però apre i porti alle imbarcazioni che devono caricare sofisticati e costosi armamenti, capaci di produrre devastazioni che non risparmiano neanche i bambini”.
L’industria degli armamenti è florida, inattaccabile, sovrana. Non conosce flessioni, non conosce moderazioni. L’Europa aveva pensato di imporre sulle etichette del vino “nuoce alla salute”, ma non pretende etichette sulle armi: “uccidono!”. Il flusso di denaro che muove l’industria degli armamenti spiega molte delle guerre in corso; ma fa aumentare anche il Pil dei paesi che li vendono. E di ciò che fa aumentare il Pil non si discute. Gli interessi che l’industria degli armamenti sollecita e muove sono spaventosi quanto nascosti. La forma del mondo che contribuiscono a modellare è quella della carneficina come fine dell’umanità per opera di se stessa armata. Dai vocabolari dei politici è stata cancellata la parola “disarmo”, mentre la parola “guerra” è un anagramma nascosto di molte altre parole che circolano nei luoghi che contano.
Noi donne e uomini comuni non abbiamo “armi” per sconfiggere le armi, lo so. Ma almeno facciamo in modo di non ignorare la grande menzogna che ci viene propinata. Viva, viva, viva cento volte Mustafà e chi lo ha salvato. Però non dimentichiamo che commuoversi per il dolore fotografato di un bambino siriano può far dimenticare il dolore nascosto; non dimentichiamo che il sentimentalismo soddisfa se stesso, è catarsi davanti allo spettacolo, come vedere un film e commuoversi, poi uscire dalla sala e tornare nel mondo disegnato dalle armi.