
Antropologo a domicilio n°53 (27.7.2019)
“Bibbiano” non parla di bambini, ma di noi.
Il nome “Bibbiano” evoca in questi giorni nella mente di chi legge, discute, soprattutto di chi frequenta i social, l’immagine di bambini maltrattati. In realtà dovrebbe evocare alcuni perversi vicoli di pensiero in cui siamo immersi in questa fase della nostra storia dominata dai social.
Della vicenda di Bibbiano sappiamo che la magistratura sta indagando su presunti (e presumibili sulla base delle indagini svolte alla base dei provvedimenti giudiziari) atti istituzionali di vero e proprio “esproprio” familiare che avrebbero subito alcuni bambini. Punto.
Non sappiamo altro. Eppure su questo caso si è scatenata una cascata di parole e immagini per la gran parte dei casi, di mera emozione, priva di quella necessaria sponda con cui l’emozione entra normalmente (e sanamente) in relazione nel suo funzionamento psichico: la riflessione razionale.
Bibbiano è il Male assoluto che ha colpito l’infanzia, dice l’onda emotiva. Di cos’altro si ha bisogno per avvertire lo Scandalo, Strapparsi le vesti, Urlare all’untore?
E i bambini?
Dei bambini reali di Bibbiano sappiamo poco o nulla. Più nulla che poco.
Ma non interessa saperlo, a chi partecipa a questa ondata di indignazione. E che se davvero volesse saperne, non avrebbe altra possibilità al difuori dell’accertamento della “verità” giudiziaria. Con tutti i suoi tempi a volte lenti, ma forse in questo caso necessari per entrare in un vespaio di problemi complessi.
Ricordate lo Scandalo della pedofilia di qualche anno fa? Non se ne parla più. È scomparsa la pedofilia in Italia? No, semplicemente è derubricata a notizia di cronaca locale o cestinata persino. E quindi nessuno più prova Scandalo, Strappa le vesti, Urla.
Era per i bambini abusati in atti di pedofilia che ci si sentiva indignati?
No, era per il gusto di stare nella folla che accusa. C’è un gusto in questo. Gli storici, gli antropologi, gli psicologi ce lo hanno insegnato. C’è un gusto nell’inveire contro il “colpevole” (che diventa Capro espiatorio). Sollevare il dito contro qualcuno, insieme alla folla intorno, fa stare bene chi lo fa.
Ma i bambini ovviamente non c’entrano niente con questo gusto. Né i cani quando è il turno dei cani, né chiunque altro si trovi coinvolto come oggetto inerte nell’operazione dell’inveire contro qualcuno.
Bibbiano non parla di bambini, ma della nostra malattia progressiva, che consiste nel rinunciare una dopo l’altra a tutte le grandi conquiste di civiltà che le generazioni che ci hanno preceduto ci hanno consegnato. In questo caso civiltà giuridica (analoga considerazione va fatta sui “diritti”, uno dopo l’altro ottenuti a prezzo di lotte e di sangue versato in passato, e ora ceduti al primo piazzista politico di paese che passa nei social).
Se poi dovessi volgere al positivo queste considerazioni, aggiungerei che Bibbiano non parla di bambini, ma delle istituzioni sane del nostro paese. Le istituzioni divise in tre poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Con tutte le sottoistituzioni che ne derivano. Sane perché sono sane le istituzioni di un paese democratico come il nostro. In cui se in un qualunque segmento istituzionale si produce un comportamento sbagliato, altri segmenti e altre istituzioni intervengono. Nel caso di Bibbiano, la magistratura. Ma in altri casi, altre. Quando ci indigniamo perchè i media ci informano su qualche abuso, delitto, atto illegale compiuto da o in una istituzione, dimentichiamo di compiacerci perché viviamo in un paese in cui le istituzioni denunciano o possono essere denunciate. Dimentichiamo che circa un secolo fa il nostro paese era alla vigilia della caduta in un Regime fascista in cui ciò fu reso impossibile.
È per tali ragioni che trovo semplicemente effetto di un vento di follia rinunciare alla complessità dell’apparato istituzionale (risultato di secoli di lotta politica, milioni di morti, vite di dolore per la conquista della democrazia) in nome della fiducia a questo o quest’altro Unto dal Signore.
Contro il vento ci si può attrezzare in vari modi. Uno fondamentale, certo, è costruire case che proteggano dal vento (le istituzioni, appunto). Ma anche attrezzarsi individualmente per proteggersi. Che fuor di metafora significa mai, mai, mai rinunciare all’esercizio della riflessione (il proprio “foro” interiore). E frequentare chi non ci rinuncia (il “foro” pubblico). Che poi, il gusto forte dell’additare il colpevole di turno, lo si potrà sempre provare allo stadio.
