Antropologo a domicilio n°90 (27.10.2023)
“Sono distrutta ormai da parecchi giorni e rimarrò distrutta per il resto della mia vita, ma sono riuscita a riprendere fiato, e voglio usarlo per parlare al mondo, perché sento voci di persone che vogliono vendetta e di persone che vogliono uccidere i “mostri” e voglio dire che in mio nome, io non voglio vendetta”.
Michal Halev ha perso il figlio, le è stato assassinato da Hamas il 7 ottobre. Tre giorni prima aveva partecipato a una marcia di pace a Gerusalemme. Il corpo del figlio ancora caldo, lei non chiede vendetta (su Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=ERjkto7g4U4).

A Napoli, durante una marcia di “Libera” Lucia Di Mauro incontra l’assassino di suo marito. Si abbracciano, lui piange, sviene, lei lo sorregge e piange con lui. Era un ragazzo di 16 anni quando partecipò all’omicidio della guardia giurata Gaetano Montanino durante una rapina, ora è a Nisida in un percorso di riabilitazione. Lucia da anni, subito dopo la morte del marito, si era impegnata volontaria nel carcere minorile per dare una mano nel recupero dei tanti ragazzi sbandati che finiscono in quel carcere. Quel giorno incontra l’assassino, si parlano, cominciano un percorso insieme (c’è un libro, scritto insieme a Cristina Zagaria, “Storia di un abbraccio”, Piemme, 2023).

Si può non invocare vendetta contro l’assassino di un proprio figlio,  il killer del proprio marito? Sì, queste donne – e altre insieme a loro – rivendicano la necessità oggi nel mondo, oggi forse più di ieri, di fermare la deriva dell’imbarbarimento dell’umanità. Attraverso il rifiuto della vendetta e la proclamazione della pace come “necessità”.
Michal Hanev, nel suo messaggio video poche ore dopo la morte del figlio, chiede al “mondo intero di fare qualcosa per guarire quei bambini affinché non diventino odiatori, affinché crescano per diventare amanti gentili come il mio gigante buono”, che è stato ucciso. Nel suo immenso dolore ha individuato la radice del male. Chi cresce nell’odio non potrà che odiare. Un messaggio tanto ovvio quanto inascoltato dalla politica. Che ha fallito e sta continuando a fallire.
Questi di Michal, di Lucia, di tante altre persone che lavorano nell’ombra, invisibili ai media, sono messaggi impolitici, per questo preziosi. Poiché se l’umanità dovesse essere interamente rappresentata dai politici attuali e dalla superficie lucida e plastificata dei media dell’entertainment, ci sarebbe da sperare poco in un futuro umano. I politici attuali pensano che nascondere i problemi come la polvere sotto i tappeti, li annulli. Momentaneamente ottengono consenso (elettorale o di altro tipo), saranno i loro successori poi - pensano - a sbrogliare i problemi. Ma questo tipo di polvere sotto il tappeto fermenta odio, e da odio non viene che odio.
Io non credo che “le donne” come categoria sociologica possono salvare il mondo. Credo però che la cultura maschilista e patriarcale che è dietro la politica in quasi tutto il mondo è la peggiore indiziata della colpevolezza che potrà distruggerlo.
Massacrare i bambini perché sono figli del nemico non è un’azione che può venire da chi mette al mondo bambini, questo mi è chiaro. Sì, donne assassine ve ne sono state e ve ne sono. Singole donne assassine. Ma una formazione militare (o paramilitare) che assalta un villaggio e sgozza i bambini uno dopo l’altro è un’altra cosa. Sono maschi, maschilisti e patriarcali, dopo viene tutto il resto: politica, religione, economia. Dopo. Innanzitutto maschi, maschilisti e patriarcali. E un comando militare che scientemente si fa scudo umano di bambini e un altro che indifferente ai bambini bombarda per colpire il nemico? Maschi, maschilisti e patriarcali. No, non sono animali come qualcuno suggerisce, né dall’una né dall’altra parte, perché le stragi di massa purtroppo sono umane, profondamente umane. E maschiliste. E patriarcali. Miopi. Ridicolmente miopi, se non fossero tragiche. Poiché a ogni violenza corrisponde un’altra dall’altra parte, in questa visione del mondo patriarcale che mette avanti il potere e il dominio.
Ma per fortuna anche la domanda di pace è umana. Le prese di posizione di Michal e di Lucia – e di tante altre donne nel mondo – sono difficili, ma sono umane. E sono lungimiranti. Nella loro pura e totale ingenuità guardano lontano. Ingenue e lungimiranti. Se c’è una flebile speranza che il mondo sull’orlo della catastrofe si salvi sono persone come loro che l’alimentano.
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