
Antropologo a domicilio n°40 (20.7.2018)
Negli anni del secondo dopoguerra, la solidarietà era un comportamento da comunicare, l’egoismo invece un atteggiamento da nascondere. Per ricevere stima — da se stessi e dagli altri — bisognava praticare alcuni “valori”, tra cui la solidarietà e la generosità. Possiamo dire che invece oggi non è più così? che per molti dichiarare la propria mancanza di solidarietà non è considerato deplorevole, ma al contrario, “virtuoso”? Penso di sì. Che cosa è successo nel frattempo?
La crisi. Molti così dicono. La crisi economica nella quale è piombato il mondo europeo e agloamericano ha prodotto egoismi collettivi di difesa. Non ne sono convinto fino in fondo. Il lavoratore del video mostra che il malessere economico non produce automaticamente egoismo. Ha perso il suo lavoro nel settore minerario in Sardegna, ora è disoccupato anche a Roma, ma accoglie in casa una donna abbandonata dal marito con il suo bambino. No, non mi convince dare tutte le responsabilità alla crisi, quasi come per un automatismo “naturale”. Io propendo per una spiegazione di natura culturale. Nel senso antropologico del termine.
La solidarietà o invece l’egoismo sono entrambi atteggiamenti e comportamenti presenti nella condizione umana. In generale è così: si può essere solidali o egoisti. Non solo in quanto esistono persone dell’uno o dell’altro tipo, ma anche perchè ciascuno nel corso della propria vita talvolta è solidale talaltra egoista. Non sto sostenendo che la solidarietà e l’egoismo siano atteggiamenti umani “naturali”. Certo, si basano su robuste radici evolutive, la prima sulla necessità per una specie sociale quale la nostra di mutuo aiuto, la seconda sulla spinta all’autoconservazione di sè. Ma solidarietà ed egoismo (eh, sì, anche l’egoismo, e lo leggiamo tutti i giorni nei social) sono “valori”, cioè costruzioni culturali. Sui quali ogni tipo di società fa le sue scelte di preferenza e anche di mescolamento, perchè non c’è una regola universale, nè un “destino” storico.
Duemila anni di Vangelo e duecento di “liberté, égalité, fraternité” ci avevano abituati ad una ovvietà dei valori di generosità e altruismo nel panorama della nostra cultura. Qualche persona poteva essere talvolta — oppure sempre — egoista; ma i valori condivisi da tutti andavano in un altro senso, quello della solidarietà. L’egoismo veniva nascosto o magari giustificato in certe condizioni, mai ostentato. Avevamo però dimenticato che essi sono — appunto — “valori” storicamente costruiti e storicamente decostruibili. L’Europa degli ultimi anni — proprio l’Europa — sta provvedendo sotto i nostri occhi ad una costruzione del valore dell’egoismo e ad una decostruzione del valore della solidarietà, che pure viene da lontano e che era così innestato nel suo corpo culturale da sembrare “naturale”. E invece non lo è. Solidarietà, come la stessa libertà, e come la democrazia del resto, sono conquiste storiche, conseguite a prezzo di lotte religiose, civili, culturali e non solo. E che vanno mantenute al medesimo prezzo.
Dunque più che limitarsi allo scandalo per le evidenti manifestazioni di egoismo collettivo; più che indignarsi per il loro “apprezzamento” (quanto “vale” essere egoisti? oggi di più, sempre di più) bisogna (con modestia e resilienza) prendere atto che siamo immersi in una battaglia culturale: da una parte la difesa di quei valori ereditati dalla storia, dall’altra apprezzamento dell’egoismo come comportamento legittimo. Penso che indipendentemente dalle nostre idee politiche, dovremmo tutti impegnarci per il mantenimento di quei “nostri” valori europei. Che sono per l’Europa — Italia compresa — fondativi. Cioè vengono prima di ogni politica, ne sono alla base.
Ma c’è un altro ragionamento che va affrontato. La storia va vista nel diritto e nel rovescio. Non bisogna dimenticare che dopo i valori di liberté, égalité, fraternité apparvero le armate imperiali di Napoleone. E dopo ancora si dispiegò quel secolo europeo imperialista e colonialista che depredò (continuò a depredare) gran parte del resto del mondo. E che poi lasciò campo a un neocolonialismo novecentesco di sostanziale immutato dominio. Il quale nelle propaggini odierne partecipa al sacco delle risorse africane, cui certo prendono parte Cina, Russia e America, ma al cui posto a tavola non rinuncia l’Unione europea. Diritto e rovescio si accompagnano, pur se in un certo senso restano distinti. Per cui, l‘affermazione dei diritti dell’uomo in Europa non deve far dimenticare la sua storia predatoria e viceversa.
Però qualcosa oggi sta radicalmente cambiando. La gravità dell’affermazione dell’egoismo di massa sta nell’eliminazione di una delle due facce della storia europea: scompare l’anima dei diritti, rimane solo l’anima predatoria. A questa il nuovo sentimento di massa si affianca e si intona. Estranea tutto sommato alle stanze dei centri politico-finanziari, però in coro con essi, il sentimento di massa europeo sembra omologarsi al modello economico neoliberista ispirato all’arricchimento del più forte senza limiti e senza ostacoli. E così l’Europa rinuncia alla complessità della sua storia, sciogliendo la dialettica tra diritto e rovescio della sua storia nella sua antica e mai abbandonata politica di potenza.