Se svegliandosi all’alba del suo tredicesimo compleanno, Dorsen decidesse di dare addio alla sua casa e alla sua famiglia e fuggire al nord, verso il lontanissimo imbarco del Mediterraneo, noi potremmo dirgli di non farlo? Potremmo ordinargli di non muoversi di casa e continuare a vivere nel suo attuale inferno? Dorsen ha otto anni, ed è uno dei bambini intervistati dal giornalista di Sky News Alex Crawford, uno degli oltre quarantamila bambini che lavorano in una delle migliaia di miniere di cobalto e coltan nella Repubblica democratica del Congo, per estrarre questi minerali che sono indispensabili per le playstation, gli smartphone, i tablet, i computer e una miriade di altre applicazioni. Indispensabili. Senza di essi non potremmo avere la crescente connessione globale che forma l’infrastruttura della nostra vita contemporanea. E nel Congo si estrae quasi il cinquanta per cento di questi indispensabili minerali. E vi ci lavorano bambini anche più piccoli di Dorsen. Perchè piccoli come sono entrano meglio negli stretti cunicoli che vanno nelle viscere della terra. E perché leggeri come sono hanno più probabilità di non provocare frane in quelle viscere senza sicurezza.
Dunque, mi chiedevo se davvero pensiamo di poter togliere dalla mente di Dorsen e delle migliaia di suoi coetanei il sogno cui forse s’aggrappano nelle dodici o quattordici o sedici ore giornaliere di lavoro pagate meno di un euro, cui devono detrarre le spese di un cibo che per quantità e qualità non daremmo ai nostri piccioni in città. E insieme a loro alle migliaia di altri bambini messi in schiavitù in altri territori africani per garantire le nostre cioccolate, i nostri cosmetici, i nostri cibi preferiti a tavola, o a quegli altri venduti o rubati per farne carne di macello come soldati bambini per le guerre civili in corso. Che i nostri mercanti d’armi e certe nostre multinazionali sornione alimentano perchè le destabilizzazioni sociali di quel continente sono i loro affari d’oro.
Quando parliamo di migranti “economici” (distinguendoli da quelli “forzati”, che scappano da guerre, persecuzioni e simili e che per questo avrebbero diritto di asilo: a patto che sappiano dimostarlo in una “narrazione” convincente a chi si occupa della selezione) e diciamo di loro che in quanto “economici” non hanno diritto di stare in Europa e che quindi bisogna rimandarli a casa o anche impedirgli proprio di partire, ci rendiamo conto che stiamo per molti di loro dicendo che devono rimanere schiavi a vita per il nostro benessere? A casa loro, schiavi? Per ricchezze di casa loro che per le nostre comode vite sono depredate da compiacenti o distratte multinazionali?
Ma davvero pensiamo che la globalizzazione sia solo un diabolico meccanismo che favorisce il sogno di milioni di africani a venire in ciò che a loro da lontano appare come il Paradiso terrestre? E che non sia anche il reciproco diabolico meccanismo che impoverisce amplissimi territori di quel continente attraverso la rapina dei loro tesori?
Sì — qualcuno dirà — ma l’Africa ha quasi un miliardo di abitanti con tassi di natalità altissimi, mica si possono accogliere tutti! È ben vero questo, ben vero. Sono proprio d’accordo. Non si possono accogliere tutti. E allora? Lasciamo le cose come stanno? Beh, ma se è così torna la domanda: davvero pensiamo che se Dorsen avesse prospettive della sua infernale esistenza diverse da quelle di rimanere nell’inferno per i tre-quattro decenni di vita che gli toccano se tutto gli andrà bene, penserebbe di venirsene in terre fredde e lontane invece che starsene con i suoi amici, i suoi parenti nella terra dov’è nato?
I problemi del mondo attuale sono i problemi dell’ingiustizia nel mondo attuale. La qualità della vita di parti del mondo si basa sullo squallore di vita di altre parti del mondo. E nessuna agenda politica pone al suo centro il tema della riduzione delle ingiustizie. Al contrario, gran parte delle agende neoliberiste prevede politiche che espandono gli squilibri di qualità di vita persino dentro le parti del mondo considerate — a torto — il Paradiso terrestre. E in questo modo produce guerre tra poveri.
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