
Antropologo a domicilio n°59 (7.3.2020)
Qualunque sarà il prezzo che dovremo pagare a questa epidemia, ne usciremo con più Europa, più OMS, cioè più cooperazione internazionale, meno frontiere, meno nazionalismi sovranisti. Primo, perché il virus ci ricorda che non esistono frontiere universali tra gli esseri umani ma solo frontiere parziali create dalla politica che guarda al passato (e che prima o poi dovrà rendersi conto che deve costruire il futuro). Secondo, perché ne usciremo grazie alla cooperazione internazionale. Dopo i primi maldestri tentativi di chiudersi a riccio, si passerà alla necessaria apertura collaborativa. Lo stiamo vedendo in piccolo in Italia: improvvisamente sono finiti tutti i discorsi di radicale autonomia fino al distacco totale tra le Regioni. Andiamo ad uno scenario in cui ogni Regione meno colpita dovrà dare un aiuto alle Regioni più colpite. Inoltre avere la famiglia al Sud e il lavoro al Nord significa essere un intreccio inestricabile di “italiani”, non campani e lombardi, siciliani e veneti. Italiani.
Più Europa dunque. E più Italia in un certo senso. Mi auguro che negli Stati Uniti non si allarghi l’epidemia, perché qui da noi in Italia a tutti viene assicurata l’assistenza e cura, ai ricchi e ai poveri. Il nostro sistema sanitario non ci chiede il reddito se andiamo in emergenza, non ci chiede di mettere mano al portafoglio. Negli Stati Uniti sì. Mi auguro dunque che negli Stati Uniti non si allarghi l’epidemia (anche se è difficile, se si tratta di pandemia) perché se si diffondesse, improvvisamente tutto il popolo americano si accorgerebbe che a casa sua si muore di povertà non di virus. Più Italia e più Europa.
Più Europa ma con una precisazione. Più Europa non significa teniamoci ciò che c’è, perché ciò che c’è di Europa vale al massimo per i contabili, non per i cittadini. Viva l’Europa, ma questa Europa non ci piace e dobbiamo cambiarla. Perché per esempio adesso è muta, di fronte al drammatico scenario del contagio tace. E questo non ci piace. Perché, lo diciamo sempre, l’Europa è molto presente solo se si tratta di richiamare gli sforamenti finanziari. È un’Europa per i cittadini che vogliamo non un’Europa per i contabili.
E poi non ci piace per come immagina di difendere i confini. Che le massime cariche europee vadano in visita ai “confini” dell’Europa in Grecia, ribattezzata “scudo d’Europa”, per sorvegliare le difese, come in passato facevano i generali che visitavano le trincee, non può piacerci, a me di sicuro non piace. Avrei preferito osservare le stesse massime cariche europee visitare i centri di accoglienza, le struttura di socializzazione e inclusione dei futuri nuovi europei, per sorvegliare e comunicare poi agli europei che là dentro funzionano le strategie culturali e sociali volte a promuovere la fedeltà degli europei alle proprie tradizioni, alla propria storia, alle proprie battaglie epocali del passato remoto e prossimo. Infine alla propria identità: l’identità del continente che ha in sé l’antivirus della democrazia, della libertà, della giustizia, e dei diritti umani estesi all’intera specie umana, senza distinzione tra NOI e LORO.
Quando usciremo da questa pandemia ricorderemo i confini che ora dobbiamo sopportare, zone rosse, distanze di sicurezza, divieti di abbracci, di mani che si stringono; confini insopportabili perché separano i nonni dai nipoti, i maestri dagli alunni, i volontari dai sofferenti, gli amici dagli amici, i cittadini dagli altri cittadini. E allora, quanto più insopportabili ora, tanto più in futuro li rifiuteremo, perché la vita umana è vita di vicinanze, prossimità, di accoglienza, di convivialità, di abbracci e baci. La vita umana del futuro sarà vita di umanità o non sarà. E se avremo imparato bene la lezione, sapremo bene che l’umanità è una, unica, un solo NOI.