
Antropologo a domicilio n°57 (19.12.2019)
Metto le mani avanti: gli antropologi sono relativisti (o meglio: relativizzano). Cioè, esposti per ragioni di studio alle tradizioni di diversi “popoli”, sanno bene che ognuno sostiene che la propria maniera di vivere (usi, costumi, pratiche, credenze…) sia quella migliore e che agli altri manca sempre qualcosa, poco o molto non importa. Manca qualcosa per essere come “noi”, cioè i migliori. Studiando ciò, l’antropologo non può che concludere che ogni idea di “migliore” è relativa a chi la afferma. Il discorso ci porterebbe molto lontano e non è il caso qui di andarci.
Avere un atteggiamento relativizzante (ce l’hanno in genere gli antropologi, sarebbe il caso che imparassero ad averlo tutti in un mondo globalizzato e ravvicinato), non esclude che il singolo antropologo possa aderire adeguatamente alla sua forma di vita e alle sue tradizioni (senza dover necessariamente approfondire il tema dell’”appaesamento” di Ernesto De Martino).
Proprio in quanto antropologo, io penso che esprimere la propria tradizione culturale non possa essere di per sé offensivo di quelle altrui. Più o meno è come per la lingua: se parlo italiano in presenza di un cinese, non vedo come egli possa sentirsi offeso per il fatto che parlo italiano (e viceversa). Semmai se vogliamo dialogare dovremo fare in modo di arrivare a una lingua intermedia, un’altra, magari fusione delle due, italiana e cinese. Ma anche questo discorso ci porterebbe lontano e neppure qui è il caso. Posso solo concludere (provvisoriamente) che se la mia tradizione non è aggressiva nei confronti degli altri, nessuno potrà pensare che sia politicamente corretto non manifestarla.
E dunque vengo al presepe.

A me piace la tradizione del presepe. Che però come tutte le tradizioni non è immobile nel tempo, ma muta, si trasforma, si basa su una pratica di tradizione-tradimento (di nuovo come la lingua: non parliamo più la lingua di Dante!). E proprio per questo voglio dire che quest’anno Gesù bambino ha anche un altro nome: Faven. E ne ha anche altri quattro: Ashraf, Muslim, Mansour e Salem. E ne ha altri ancora, spulciando nei notiziari. Quest’anno Gesù bambino è stato salvato dall’affogamento in mare davanti a Lampedusa ed è stato trovato moltiplicato in quattro in un vagone merci piombato alla stazione di Trieste insieme alla mamma che quest’anno si chiama pure Najat ha 32 anni e parla solo arabo. Gesù bambino ce l’ha fatta a sfuggire alle grinfie di Erode che uccide tutti i bambini nella Strage degli Innocenti, ce l’ha fatta, ma centinaia e migliaia di bambini non ce l’hanno fatta e sono morti nella Strage degli Innocenti delle ingiustizie di questo mondo che è ingiusto. E non conto le centinaia di migliaia che stanno nei campi profughi e non ce la fanno a nascere neppure quest’anno.

[“Ma scusa, «antropologo a domicilio », dimentichi i “nostri” bambini poveri, che vivono in miseria, e anche quelli ricchi, sommersi dal consumismo natalizio?”
“Grazie per avermelo ricordato. Questi bambini che ancora non riescono a “nascere” pienamente alla vita vanno affiancati a Faven e agli altri (non sostituiti, come se ci fosse una lotta tra chi può essere accolto e chi non può). E non sono i “nostri”, perchè i bambini sono tutti uguali. Cioè tutti Nostri”].
A proposito: quest’anno Gesù bambino che viene al mondo si è spaventato vedendo tutte queste corone, questi presepi, queste eucarestie brandite come martelli per colpire gli avversari. Gesù bambino s’è messo subito dalla parte dei minacciati, delle vittime, degli ultimi e dunque si è trovato aggredito proprio lui dalla folla di simboli che a lui fingono di richiamarsi, ma in realtà richiamano la Strage degli Innocenti.