
Antropologo a domicilio n°564 (2.12.2019)
- Ma nella musica jazz c’è una base afroamericana?
- Perbacco, sì.
- E… anche caraibica?
- Certo.
- Per caso anche italiana?
- Certo che sì, il primo disco di jazz fu inciso nel 1917 da…… ma non ti dico tutto: per saperne di più vai a leggere il bel libro di Stefano Zenni, “Che razza di musica. Jazz, blues, soul e le trappole del colore”, EDT, 2016 (costa 11 euro).
- Aspetta, aspetta!…. solo questo... anche francese?
- Sì.
- E… irlandese, e spagnola ed europea in genere?
- Sì, senza dimenticare l’influenza ebraica e quella rom e quella…
- Ma…ma mica pure musica classica?
- E sì. Qualcosa dalla musica sinfonica e di quella lirica è arrivato…
- Ma allora che razza di musica è?
- Musica jazz, appunto! In cui non conta l’origine della forma musicale, ma la sua "usabilità" da parte dei musicisti, cioè la sua possibilità di diventare strumento della creatività degli artisti. Questo è il capolavoro della musica jazz. …. Esattamente come le identità.
- Identità? E che c’entrano le identità?
- C’entrano, c’entrano. L’identità è una faccenda jazz.
- Vuoi dire che per esempio l’identità italiana è jazz?
- Sì, e quella francese, inglese, spagnola, tedesca. E quella americana.
- Ma allora pure quella cilena, brasiliana, venezuelana?
- Sì, e quella algerina, marocchina, senegalese, e poi quelle asiatiche e tutte le identità del mondo.
- Ma che c’entrano le identità con la musica jazz?
La riposta arriva con un’altra domanda:
per quale motivo quando parliamo dell’identità (sociale) ricorriamo sempre a metafore vegetali (le “radici”, l’”albero”) o a quelle edificatorie (i “muri”, le “porte”) e non invece alla musica jazz? Che ci fa capire molte cose che le altre metafore ci nascondono?
Perchè usiamo metafore? nel discorso corrente, la metafora è un modo per illuminare un oggetto della realtà (più propriamente: un campo semantico) piuttosto oscuro o confuso, con un insieme di parole (un altro campo di significati) che è più chiaro, e che appunto ne fa metafora.
L’identità è una parola il cui significato è confuso e in parte oscuro. Tutti ne parlano ma nessuno ha la definizione esatta di cosa sia. Perché l’identità non si fa come con i calcoli matematici: 2+4=6. Essa è sfuggente. E cambia significato quando cambia il contesto in cui viene usata. Prendiamo l’”identità” del tifo calcistico. Uno tifa per la squadra del suo cuore, ma ciò non gli impedisce di tifare per la squadra nazionale (dovremmo ragionare anche sull'identità personale come jazz ma non voglio dilungarmi troppo).
Ecco la proposta allora: invece di parlare di “radici” (che non dimentichiamo sono una realtà vegetale non sociale) perché non usiamo la metafora del jazz e parliamo dell’identità come se fosse un brano jazz? Se si va a leggere la storia di qualunque paese — ma anche gruppo, popolo, “etnia” -, con gli occhiali jazz, si scopre che le identità sono tutte jazz, proprio tutte.
E per un fatto molto semplice, che differenzia le identità dagli alberi e dalle piante.
Le identità sono frutto della storia (umana), gli alberi del loro Dna. E la storia è mutamento non programmato (invece il Dna è in grande misura programmato), la storia rompe e rimargina, include ed esclude, cementa e demolisce. Nessun gruppo umano si è mai sottratto a questo lavorio della storia. Se guardiamo da vicino alla storia di un popolo (e non ci limitiamo a quella delle guerre, dei re e del potere) ci rendiamo conto che nel corso del tempo esso ha inglobato elementi culturali provenienti da altri popoli e ne ha escluso altri. In base a quale criterio? Muri? Radici? No: "usabilità" dell’elemento incorporato, proprio come fanno i musicisti jazz quando si trovano davanti una nuova forma musicale (melodia, ritmo, sonorità, persino strumento ecc.) decidono di accoglierla o rifiutarla non in base al criterio “è jazz? non è jazz?”, ma a quello “è buona per essere usata? suonata? mi stimola creatività?” se la risposta è positiva, allora viene usata (e trasformata) e inglobata nel jazz. Così hanno fatto i grandi musicisti jazz. E così hanno fatto tutti i popoli del mondo.
Tutte le identità sono jazz. Tutte.
Vogliamo per caso riflettere sui secoli di storia della nostra penisola, sui passaggi di decine di popoli e culture e usi, e su ciò che s’è fermato ed è diventato “italiano” e ciò che s’è perso? Ci vorrebbe un libro intero, anzi un’enciclopedia. Perché l’identità italiana è jazz.
(potremmo divertirci a trovare esempi di inclusione in Italia di forme culturali “altre” perché usabili, e che poi sono diventate “italiane”: magari ciascuno dei miei lettori ne troverebbe qualcuno).
Se dunque l’identità è jazz, la questione che si pone non è quali muri dobbiamo ergere per difendere la nostra identità (è come dire a un musicista jazz di chiudersi in una stanza insonora), ma quali forme culturali sono usabili per costruire un futuro più umano nel nostro paese.