Antropologo a domicilio n°98 (29.4.2024)

Tra due, tre, forse quattro generazioni il mondo umano potrebbe essere molto diverso dal presente, ancora più intrecciato, interconnesso, meticcio. Alcuni sono disturbati da previsioni del genere, perché sembra loro che le tradizioni, le identità, le appartenenze verrebbero smarrite. 
Ma guardiamoci in giro e confrontiamo ciò che vediamo con ciò che ricordiamo di venti, trenta anni fa. Volti, colori, lingue, strade, piazze, negozi, ristoranti ci rappresentano un mondo già oggi intrecciato. Milioni di persone viaggiano, vanno, vengono, si fermano o ripartono. E anche senza viaggiare, vedono sui loro dispositivi digitali il mondo che forse incontreranno. Milioni di persone tutti i giorni rimescolano il mondo. E non sono soltanto i più sfortunati, quelli che scappano da guerre, catastrofi, violenze umane e naturali. E che sono l’emergenza quotidiana in larghe parti del mondo. Ma anche  quelli che viaggiano per turismo, per lavoro, per studio. 
E per amore. E che creano famiglie meticce, che si moltiplicano in modo esponenziale. 
È già così. E non per questo muoiono tradizioni, scompaiono identità, appartenenze. Ne nascono di nuove, si intrecciano con le vecchie e fanno nuovi modi per stare insieme nel mondo. E’ sempre stato così nella storia umana.
Tranne quando ci sono guerre.
Negli anni Novanta una sequela di guerre e guerriglie dissolse la Jugoslavia in numerosi stati autonomi. Fino a quegli anni molte famiglie jugoslave erano meticce, i bambini nascevano da coppie che mescolavano serbi, croati, sloveni, bosniaci e via dicendo. Sarajevo era campione su questo terreno. La guerra costrinse quelle famiglie a dolorose separazioni, il mondo meticcio si lacerò, lasciando sul campo strascichi di rancore, di odio, di dolore. Tuttora vive e minacciose.
Il caso jugoslavo illustra l’alternativa al meticciamento del mondo: guerre e stragi e violenze di ogni tipo e muri e fili spinati e campi di concentramento. E politiche asservite a questi orrori e ideologie di superiorità etnica o religiosa ed economie di guerra: armi e armamenti, fabbriche di morte. Sullo sfondo il ritorno della minaccia concreta di guerra nucleare. In altre parole, l’autodistruzione dell’umanità.
Le guerre, le attuali guerre sono un orrendo meccanismo per bloccare la strada dell’umanità. Nel mondo interconnesso nel quale viviamo, due, tre, forse quattro generazioni sarebbero sufficienti, con gli incontri e gli scambi quotidiani che già ci sono, ad avvicinarsi sempre di più. Ma possiamo pensare che la strage del 7 ottobre renderà gli israeliani aperti verso i palestinesi? E che lo saranno questi ultimi verso gli israeliani dopo mesi di distruzioni e stragi? E possiamo pensarlo per gli ucraini verso i russi? E per questi ultimi, oppressi da una propaganda ideologica di nazionalismo bellicoso e di odio? Quante generazioni saranno necessarie perché scompaia l’odio reciproco? E quante perché cessi il suo riverbero nel resto del mondo? Queste guerre non risolvono le questioni locali per cui sono esplose, e in più danneggiano il futuro per tutti.
L’umanità è davanti a un bivio.
O si lascia che il movimento delle cose vada verso un crescente intreccio di umanità o l’umanità si condanna all’autodistruzione.
Non sottovaluto le difficoltà del movimento verso un crescente meticciamento.
Anzi, so bene che ve ne sono alcune che sembrano quasi insormontabili: il mondo è pieno di sospetti tra popoli, etnie, fedi, fondamentalismi di ogni tipo. Il mondo è pieno di identità aggressive, di suprematismi, di illusorie superiorità razziste. Ed è pieno di politici che alimentano queste cloache, e ne lucrano elettoralmente. Hitler è stato maestro per costoro, anche se non lo riconoscerebbero mai.
Ma so pure che l’umanità savia con se stessa è in grado di proteggere il suo futuro.
L’alternativa è l’autodistruzione.
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