
(Antropologo a domicilio n°38 (31.5.2018)
Chiuso il campionato di calcio, conclusa la Champions, ci avviciniamo ai campionati del mondo, il calcio non ci abbandona. La Juventus ha vinto il suo settimo scudetto. Risultato unico nel calcio italiano. Una società ricca di primati. Ma non solo sportivi. Nella classifica dei fatturati delle squadre di calcio europee la Juventus occupa il 10° posto. Delle altre italiane, l’Inter sta al 15°, il Napoli al 19°, Milan e Roma sono fuori dalle prime venti. In testa a questa speciale classifica economica c’è il Manchester City, seguito da Real Madrid e Barcellona. Dunque c’è un rispecchiamento quasi perfetto tra soldi e risultati. Le prime dieci: Manchester United, Real Madrid, Barcellona, Bayern Monaco, Manchester City, Arsenal, Paris-Saint-Germain, Chelsea, Liverpool, Juventus. Un anno l’una un anno l’altra, non si scappa, le più forti sono sempre quelle. Nel calcio non vince chi corre più veloce, chi lancia il peso più lontano, chi salta più in alto, chi fa le volée più efficaci, vince chi ha più soldi. In un certo senso il calcio è un grande trucco, in cui viene presentata una gara tra pari che non sono tali poichè tra un campo e un altro c’è una sproporzione non di qualità sportiva ma di potere economico.

Io amo il calcio, lo seguo, a modo mio sono tifoso. Dunque non mi tiro fuori dalla passione collettiva del calcio che contagia centinaia di milioni di persone nel mondo. Ciò non mi impedisce però di riflettere sul “trucco”, di cui io stesso sono vittima. Un importante sociologo e antropologo francese, Pierre Bourdieu, aveva elaborato il concetto della “violenza simbolica”, come violenza dolce, impercettibile, che entra nei corpi, se ne impossessa dando loro una forma e una struttura che li rende disponibili a essere dominati (cosa fa un buon papà con il figlioletto? lo coinvolge nella sua passione per il calcio). Raccontava per esempio di una donna top-manager che tutte le mattine doveva fare un lavoro di training fisico e psicologico per poter poi svolgere le sue funzioni di presidente di un’azienda di primo piano, in quanto il suo ruolo le diceva “tu conti, tu comandi, tu domini”, ma il suo corpo le diceva “tu sei donna, tu non conti, tu sei dominata”. Un altro punto decisivo della teoria di Bourdieu è che i dominati sono complici del dominio di cui sono vittima (la violenza simbolica “viene esercitata su un agente con la sua complicità”). Con la mia passione per il calcio contribuisco a rafforzare l’inganno che esso nasconde e che mi prende. E questo è il punto più difficile da digerire. Ma necessario. I nostri corpi sono stati strutturati per godere dello spettacolo calcistico per mezzo del quale il mondo si mantiene così com’è nelle ingiustizie di cui è fatto.

Primo Levi metteva in relazione il grande successo degli sport competitivi, tra i quali il calcio è principe, con il desiderio di semplificazione. Dividere gli esseri umani tra Noi e Loro, e da qui semplificare ulteriormente trasformandoli in Amici e Nemici, sembra essere strettamente connesso alla stessa socialità umana. Le considerazioni di Levi cercavano di dare conto della cosidetta “zona grigia” della Shoah, che impedisce di dividere nettamente le vittime dai carnefici, in quanto nei lager vi furono vittime-carnefici: i kapò e non solo. Il desiderio di semplificare è giustificato, aggiungeva Levi, ma la “semplificazione non sempre lo è. È un’ipotesi di lavoro, utile in quanto sia riconosciuta come tale e non scambiata per la realtà; la maggior parte dei fenomeni storici e naturali non sono semplici, o non semplici della semplicità che piacerebbe a noi”.

Il calcio ha da una parte la virtù della semplificazione — divide il mondo tra Noi della nostra squadra e gli Altri — dall’altra la potenza dei soldi per renderci suoi adepti innamorati. Basta saperlo. In modo da non confondere il suo meccanismo di semplificazione tra Noi e Loro con la realtà (e lo slittamento tra tifo e violenza è la dimostrazione di quanto tale meccanismo funzioni. La violenza non è un tradimento dello spirito sportivo, è un prendere alla lettera il meccanismo).
Ma il ragionamento va allargato. Fino alla società intera. Fino alla politica. Viviamo in un mondo in cui cresce il desiderio di semplificazione in corrispondenza con la sua crescente complessità. Ma bisogna guardarsi dal cadere nella sua trappola. Se la realtà è complessa non diventa semplice solo perché noi la facciamo entrare in uno schema semplice. Peggio ancora se è dicotomico: i Buoni e i Cattivi, i Ladri e gli Onesti, Noi e Loro, i Ne(g)ri e i Bianchi, gli Uomini e le Donne, i Politici e la Gente, l’Elite e il Popolo, eccetera. Non capiamo la realtà se la dividiamo come due squadre di calcio, ma ci allontaniamo da essa. Semplificare talvolta è necessario. Fermarsi ad esso è un errore madornale.