Noel Díaz è un giornalista messicano che nel 2016 era sull’aereo che portava papa Francesco a Città del Messico. Era stato bambino poverissimo che aveva attraversato mano nella mano di sua madre il confine con gli Stati Uniti. Clandestini. Per due volte espulso per tre volte rientrato e finalmente regolare. Aveva lavorato duro come bambino lustrascarpe, ma sua madre soprattutto aveva lavorato duro come venditrice agli angoli di strada per dare a lui un avvenire. E ce l’aveva fatta. Ora suo figlio Noel era un giornalista sull’aereo del papa.

È costume dei giornalisti che accompagnano Francesco nei suoi viaggi apostolici fargli dono di qualcosa una volta che sono sull’aereo. Quando fu il suo turno Noel Diaz tirò fuori una cassa da lustrascarpe e tra la sorpresa generale si inginocchiò e lucidò le scarpe al papa dicendogli: “Santo Padre, questo è un omaggio alle persone che, come mia mamma, lavorano ogni giorno per le strade di tutto il mondo per mantenere le loro famiglie».

Per me, di questi tempi la settimana santa per i cristiani dovrebbe essere innanzitutto la settimana del dolore delle madri che in tutto il mondo s’ammazzano per il bene dei figli e che non ce la fanno. Perché li vedono respinti alle frontiere che cercano di attraversare per un luogo migliore per vivere. O perché espulsi una volta che sono riusciti ad attraversarle. O peggio ancora, perché nelle zone di guerra li vedono morire o soffrire la fame o impazzire dal dolore della perdita di tutto. Penso all’Ucraina, ovviamente. E penso al Sudan in cui le mamme assistono impotenti alla morte o al lento morire dei loro piccoli. E penso infine alla Palestina, la terra dove visse il suo atroce dolore la mamma di Gesù e continuano a vivere i loro atroci dolori le mamme dei bambini palestinesi (e hanno vissuto le mamme israeliane dopo il 7 ottobre, e ancora le mamme degli ostaggi).
Anche gli uomini soffrono, anche i padri, i nonni. Ma credo che quello delle mamme sia un altro continente. Imparagonabile.

Samah Jabr è una psichiatra che è stata a capo dell’Unità salute mentale del ministero della Salute dell’Autorità nazionale palestinese ed è professoressa associata di Psichiatria e Scienze Comportamentali presso la George Washington University di Washington DC. C’è un passo di una sua recente intervista curata da Maria Nadotti e pubblicata sulla newsletter “Doppiozero”che mi colpisce molto:

“MN: C’è, oggi, in Palestina una sofferenza specificamente femminile?
SJ: Sì, un forte senso di colpa, che nasce dall’incapacità di proteggere la vita dei propri figli. C’è una peculiare forma di depressione che colpisce in particolare le donne incinte o le puerpere: perché dare la vita a un figlio se non è dato vederli crescere o vedere riconosciuta la loro e nostra umanità?”

Vorrei dire a coloro che andranno nelle chiese a seguire tutti i cerimoniali della Settimana santa e canteranno e mediteranno sul dolore della Madonna: potete meditare sul dolore di quella Madre senza che vi sfiori la mente il dolore di queste Madri?


Samah Jabr conclude la sua intervista in questo modo:
“Penso a Sofocle e alla sua Antigone:
Ismene: Se le cose stanno così, misera, ugualmente vano è che io faccia una cosa o il suo contrario.
Antigone: Vedi un po’ tu se vuoi con me portare il peso e con me agire”.
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