Antropologo a domicilio n°58 (19.1.2020)

In prossimità del “giorno della memoria”, voglio provare a ragionare attraverso Primo Levi. Cioè, leggerlo e annotarlo. Non tutto Levi, che è immenso, solo uno spunto. Brevissimo. Personalmente non concepisco l’utilità del “giorno della memoria” se non perché non si ripetano più abomini come quello della Shoah.
Ecco Primo Levi, nella pagina conclusiva di “Sommersi e salvati”:
“Ci viene chiesto da giovani, tanto più spesso e tanto più insistentemente quanto più quel tempo si allontana, chi erano, di che stoffa erano fatti, i nostri “aguzzini”. Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS, e a mio parere è improprio: fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male”.
Erano il frutto della scuola hitleriana, osserva Levi.
Può servirci questo spunto? Io credo di sì, a comprendere che la questione non è essere una brava persona o essere un sadico. Ma è il mondo culturale che si respira. E che può formare brave persone o crudeli aguzzini. Per fortuna le nostre scuole non sono quelle hitleriane. Ma ci sono altre agenzie che possono educare male. Non la scuola (ci mancherebbe) ma noi stessi: in una sorta di superficialità (personale o di gruppo) nell’accettare l’aggressività (innanzitutto la nostra) che porta a stigmatizzare qualcuno in nome di una presunta appartenenza a un’etnia o una “razza” o un colore della pelle o altre sciocchezze del genere. Superficialità alimentata dai social, ma la cui responsabilità finale non è nei social, ma in noi che la alimentiamo (magari sostenendo che si tratta di “goliardia”). Guardiamoci nello specchio tutte le volte che ci viene sulla punta delle labbra (o che condividiamo) un’invettiva che non riguardi eventualmente una singola persona (che riteniamo responsabile di qualcosa da stigmatizzare), ma l’intero gruppo di cui riteniamo questa persona faccia parte (ancora: etnia, “razza”, colore della pelle e ogni altra stupidata del genere). Cioè tutte le volte che generalizziamo: guardiamoci nello specchio e riflettiamo. Superficialità dopo superficialità potremmo partecipare senza accorgerne a costruire i lager del prossimo futuro umano (di cui nel presente già si vedono alcune fondamenta).
Basta così.
Back to Top