
Ma Dio è maschio o femmina? Ecco una bella trappola della lingua. Per un credente Dio ha creato il mondo della vita – vegetali e animali - diviso per sessi. Ma s’è messo pure lui nella divisione, scegliendo il sesso maschile? Così sembrerebbe visto che il pronome personale per riferirsi a Dio è “Lui” non “Lei”, e la metafora di “Dio Padre” certo non aiuta a chiarire! Ecco un bel segnale di come nella nostra cultura è decretata una superiorità e centralità del maschio-maschile. Nascosta nel pensiero-non-pensato implicito nella lingua.
A proposito: qualcuno ricorda la sorpresa quasi scandalo di un papa che durò appena un mese, che affermò una femminilità di Dio, tema ripreso dal papa successivo e cioè Wojtila? Benedetto XVI, papa “ortodosso”, da parte sua scrisse: “Dio è Dio. Non è né uomo né donna, ma è al di là dei generi. È il totalmente Altro. Credo che sia importante ricordare che per la fede biblica è sempre stato chiaro che Dio non è né uomo né donna ma appunto Dio e che uomo e donna sono la sua immagine. Entrambi provengono da lui ed entrambi sono racchiusi potenzialmente in lui”? (Purtroppo per le trappole della lingua il pronome usato rimaneva inevitabilmente “lui”).
Basterebbe riflettere un po’ su queste cose per prendere atto della pervasività del maschio-maschile in tutti i livelli culturali, dai più superficiali ai più profondi e sistemici.
Nella religione , per esempio, quella vissuta come mera esperienza sentimentale, di pancia; come eredità che non ha bisogno di pensiero, di vaglio critico.
E persino nella scienza.
E sì, perché anche il discorso scientifico, che dovrebbe essere libero da ogni “contaminazione” maschilista, a volte si rivela pregno di pregiudizi sessisti.
Nel 1991 un’antropologa americana, Emily Martin, pubblicò un articolo in cui dava conto dei suoi studi sui testi scientifici sulla riproduzione umana, dai quali ricavava un quadro davvero sorprendente del sessismo e maschilismo imperanti. Le pagine dei manuali consegnati agli studenti di medicina, oltre che di quelle divulgative, che avrebbero dovuto essere asettiche e “oggettive”, nascondevano invece pregiudizi sessisti davvero inquietanti. Per esempio, secondo un testo scientifico da lei esaminato, il corpo della donna era sede di uno «spreco» biologico, poiché su circa sette milioni di cellule uovo prodotte nelle ovaie, solo 4 o 500 sarebbero diventate poi ovuli perfettamente formati. Che spreco, era il commento.
E il corpo dell’uomo che in una sola giornata produce almeno cento milioni di spermatozoi e mediamente in una vita piú di due trilioni, e che vanno quasi tutti inutilizzati e dispersi? No, questo non era uno «spreco», anzi era la prova della straordinaria produttività biologica maschile. Pazientemente Martin calcolava: immaginiamo che una coppia abbia due o tre figli. Ciò significa che “ogni 200 ovuli prodotti, la donna procrea un figlio, con un rapporto di 200:1. Nell’uomo, al contrario, il rapporto verrebbe a essere di 1 trilione:1”. In “onesta” conclusione: chi è “sprecone”?
Un altro stereotipo di genere nei libri di biologia era l’idea della passività della donna (dell’ovulo) in rapporto all’attivismo dell’uomo (dello spermatozoo), considerato di volta in volta in belle metafore guerriero, cacciatore, quasi eroe da fiaba. In un testo Emily Martin trovò proprio la metafora fiabesca: l’ovulo femminile veniva descritto come "una sposa dormiente che attende il bacio magico del suo compagno, che infonde lo spirito che la porta in vita". Che meraviglia: ecco la bella addormentata della tradizione fiabesca europea! Ed ecco questa entusiasmante “missione” dello spermatozoo-eroe, che deve muoversi velocemente per salvare la donzella dalla morte, dalla “degenerazione” che le capiterebbe se non venisse salvata dall’eroico maschio! Viva, viva il maschio-eroe!
Purtroppo per questa fiaba adattata al maschile/femminile, proprio in quegli anni, cioè gli anni Ottanta, cominciarono a venir fuori nuove conoscenze sull’inseminazione. E cominciò ad essere chiaro sperimentalmente che nel processo di riproduzione l’ovulo femminile svolge un ruolo ben piú attivo di quanto non si pensasse, e che gli spermatozoi non sono neppure lontanamente cosí «forzuti» come li si immaginava.
La bella addormentata nel bosco non andava più bene, ovviamente. Di conseguenza scomparvero gli stereotipi di genere nei manuali e nei testi divulgativi? Per niente. Fu elaborato un adattamento per mantenere l’inferiorità, anzi negatività femminile. Gli ovuli cominciarono a essere presentati come delle «trappole» per spermatozoi. Poveri piccoli spermatozoi, che viaggiano liberi, ma che vengono catturati! E quanto perfidi questi ovuli, non più donzelle in pericolo, ma astuti “ragni” in attesa della preda, “sirene” dal perfido canto che conduce alla cattura del buon spermatozoo!
Insomma la nuova metafora dell’ovulo lo avvicinava alle strega fiabesca, lo trasformava in una megera.
Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il cammino per una reale rimozione del maschile-maschilismo dal centro dell’universo è ancora molto lungo.
Rif.
Joseph Ratzinger (Benedetto XVI), ”Dio e il mondo”, Edizioni San Paolo, 2001
Emily Martin, “The Egg and the Sperm: How Science Has Constructed a Romance Based on Stereotypical MaleFemale Roles”, in Signs, Vol. 16, No. 3 (Spring, 1991), pp. 485-501.