
Antropologo a domicilio n°88 (23/12/2022)
I nostri non sono tempi di Sol invictus, il sole divino dei romani della festa che poi diventerà il Natale cristiano. Non sono tempi di trionfi della luce. Troppo aspro, lacerato e pauroso è il mondo che viviamo. Il sole non splende sui nostri destini, al contrario il buio della notte e dell’inverno sembra davvero profondo.
Ma il Natale cristiano parla, può parlare a un tempo come il nostro. Proprio perché la luce che fa trasparire non è trionfante, al contrario è fioca, debole luce che sbuca nel cuore freddo della notte più lunga dell’inverno più cupo. È la luce di un bambino che viene al mondo. E si chiama Fatima quel bambino, il nome dato alla bambina nata qualche giorno fa su uno dei barconi disperati che arrancava verso le coste italiane e che è stata salvata e poi condotta insieme alla madre a Lampedusa. Intorno a lei un coro di dottoresse, ausiliarie, poliziotte - pastori di un presepe vivente - le portava aiuto e le faceva festa. Perché Fatima è una fioca luce di speranza, fioca, molto fioca, preservata a stento, quasi invisibile nel buio più nero del mondo, eppure esistente e resistente. E aperta al mondo futuro come possibilità. E dunque speranza. Questa è la fioca luce del Natale di quest’anno.
(Rokia, bambina di tre anni, nelle stesse ore moriva per assideramento insieme alla madre su un altro barcone disperato. La luce del Natale è davvero fioca, per lei spenta).
Natale potrebbe oggi essere la più importante festa laica dell’anno, io penso.
Certo, Natale è una festa cristiana. Ma è sottoposta ad un attacco violento e forse invincibile della febbre consumistica che caratterizza il nostro mondo contemporaneo. In Cina il partito comunista già da oltre dieci anni diffuse tra i suoi quadri l’appello a invogliare la popolazione ai festeggiamenti natalizi. E non per una improvvisa conversione al cristianesimo, ma per stimolare un mercato dei consumi che proprio nelle feste natalizie trovava e trova un’impareggiabile spinta al rialzo. In questo senso il Natale – in combinazione con il Capodanno - è diventata una festa globale che non guarda ai confini religiosi. Anzi, si allontana sempre di più dal suo significato religioso cristiano. Che, per chi lo avesse dimenticato, celebra il momento iniziale dell’incarnazione del divino nell’umano. Allo scopo di redimere l’umanità dal peccato. Anni luce lontano dal Natale dei consumi. Che è quello che domina. E che se non ha vinto, è molto vicino alla vittoria.
Eppure io penso che il Natale cristiano possa riguadagnare posizioni grazie a un Natale laico che rifiuti il consumismo e che vada al nucleo del Natale cristiano, alla sua radice.
Natale ha un precedente non cristiano, è noto. C’erano già prima, nel mondo latino e in quello orientale feste paragonabili al nostro Natale, di cui la più celebre era la festa latina del Sol invictus. Fu Costantino, nel 330, a fondere le due feste nel Natale cristiano. Nell’antichità il sole era una divinità presente in numerosi culti, mediterranei e orientali. Nel momento più buio dell’anno si celebrava la luce.
Che straordinario simbolismo: l’assenza di luce, la notte più cupa, il buio più profondo, il cuore stesso dell’inverno, sono la culla della nuova luce che sorge, sorgerà presto, della stagione che prenderà il posto dell’inverno, risvegliando la vita. Perché la notte cupa richiama anche la morte, e ciò che succede quella notte prodigiosa è esattamente la vittoria della vita sulla morte. Simbolismo straordinario.
In passato gli studiosi delle religioni arcaiche pensavano che i “primitivi” avessero “inventato” questa religione dell’inverno vinto dalla primavera per non cadere nella disperazione nelle notti d’inverno. Immaginavano, questi studiosi, che l’umanità fosse così primitiva da sospettare che una volta venuto l’inverno, giammai tornasse la primavera e poi l’estate. E allora, prodigiosamente intendevano favorirla con cerimonie di risveglio magico: i fuochi nella notte per richiamare in vita la luce del sole e altri rituali del genere.
L’idea che l’umanità arcaica fosse anche un po’ stupida (bastava attraversare un solo inverno per rendersi conto che la primavera sarebbe tornata sempre) per fortuna oggi è stata abbandonata.
Però c’è un nucleo in questa proiezione fantastica degli studiosi ottocenteschi che merita di essere preso in considerazione. E che ci porta all’attuale Natale. Religioso e anche laico.
La fioca luce del Natale è il campo aperto della speranza, poiché guarda le possibilità che si aprono alla vita che torna. Fatima, e con lei i bambini che nelle guerre soffrono, e nelle fughe, negli sconvolgimenti che attraversano il mondo contemporaneo, è, sono un campo aperto di possibilità per il futuro che sia meglio del presente. E - forse con un po’ di fatica, ma io credo dopo premiata - bisogna guardare nel mondo a tutti i luoghi, le occasioni, le persone che presentano una fioca luce, di possibilità future e quindi di speranza. La notte più buia non è solo buio: nasconde una fioca luce che piano piano cresce.
Forse che questo ragionamento rischia di essere il secolare “oppio dei popoli” che rimanda ad un mondo futuro per meglio conservare l’oppressione del presente?
Io credo di no, perché la fioca luce della nascita nel cuore della morte è una luce che riguarda immediatamente ciascuno di noi, è un invito a preservare in sé la virtù della nascita e non consegnarsi anzitempo alla morte. Poiché siamo mortali, certo, ma perché chiamarci soltanto “mortali”, si chiedeva Hanna Arendt, perché mai i pensatori da sempre hanno dichiarato gli umani “mortali”, soltanto mortali, ignorando che essi sono anche “natali”?
E qui c’è spazio per una lunga riflessione.