Antropologo a domicilio n°30 (4.12.2017)

Un fringuello è capace di riconoscere cadenze musicali e ritmiche nel cinguettio degli altri fringuelli e di usarle nel suo, ma non è capace di assegnare a queste cadenze un significato. Cioè di usare “parole”.
Uno scimpanzé invece è capace di imparare a usare “parole”, vale a dire segnicolori, forme, lettereche indicano oggetti, ma non è capace di legare questi segni in una forma ritmico-musicale. Cioè non ha musica.
Noi umani abbiamo sia l’una che l’altro. Sia musica che significato.
Che importanza ha per noi essere musicali e semantici al tempo stesso? In particolare, perché la musica è così importante? Non ci sono risposte definitive. Però Darwin circa centocinquanta anni fa diceva che la musica ha preceduto il linguaggio e che è stata la prima forma di corteggiamento. La tiro un po’ per i capelli questa tesi darwiniana, e la traduco così: per gli esseri umani la musica è la forma dell’amore. Cioè la forma con cui si presenta la relazione affettiva. La prova è nel rapporto tra mamma e neonato, che è ritmico e musicale. Il neonato venuto al mondo ha bisogno di un duetto ritmico con la mamma, non solo del suo latte. E anche in tutti i rapporti affettivi, da quelli tra innamorati a quelli tra amici, c’è musicalità. Fatta con il corpo. Non solo con i suoni della parole, ma con lo sguardo, i sorrisi, il movimento delle mani, dell’intero corpo. Musica quando due corpi trovano un accordo ritmico e vanno a tempo. Come due esperti musicisti che suonano insieme. Sono cose che ho scritto in “Ritmi di festa” e che racconto nel monologo omonimo che porto in giro. Perché allora ripeterle qui?
Intanto perché molto spesso mi imbatto in ricerche scientifiche condotte da neuroscienziati che confermano i dati di partenza sull’importanza della musica per il linguaggio e per le relazioni sociali (l’ultima che ho visto sostiene che vi sia una radice comune tra il linguaggio umano e il canto degli uccelli. Per esempioquelli studiatii fringuelli).
E poi per sfiorarenon affrontareuna domanda capitale, a cui peraltro non sono in grado di rispondere. Ma nessuno è in grado di rispondere in modo definitivo, perché è una domanda che punta al senso del Male. Se gli esseri umani sono capaci di relazioni musicali che saldano tra loro le coppie e le comunità, perché allora il cinismo, l’odio, la violenza, la brutalità, il sadismo, l’assassinio, la strage, il genocidio? Perché il Male? Intendiamoci: ci sono studi storici, antropologici, sociologici, psicologici, psicanalitici, letterari, politologici e così via. Intendiamoci: c’è la filosofia. Le stesse religioni sono risposte al problema del Male. Risolutive per i credenti. Non è insomma che siamo solo alla domanda. Di risposte ce ne sono tante. Ma nessuna evidentemente convincente per tutti. Però messo così, al maiuscolo, il Male rischia di rimanere un problema metafisico, teologico, la cui portata è eccessiva perché possa esserci una risposta pratica, concreta.
Forse è meglio guardare agli utili idioti del Male, che sono più concreti, ai quali si può rispondere: l’indifferenza, la stupidità, la pigrizia, l’ignoranza (dimentico qualcosa?). Per queste vi sarebbero risposte pratiche e concrete. La riflessione sulla musicalità delle relazioni umane positive è un buon approccio.
E’ certo che il Male non si evita facendo più musica. Inoltre la musica intesa nel suo senso strettocome anche la festanon garantisce una umanità migliore. I nazisti nei lager ascoltavano molta musica, se ne commuovevano persino. E facevano molte feste. Eppure erano aguzzini. È troppo semplicistico immaginare che l’umanità migliori facendo più musica e più feste (o più arte: non è vero purtroppo che la “bellezza salverà il mondo”. Anche se…).
Anche se in verità più bellezza è meglio che più bruttezza. Una musicalità nelle relazioni è meglio che la sua assenza. Se la bellezza e la musicalità non risolvono il Male, sono capaci però di intervenire sui suoi utili idioti. E dunque, in senso pratico e non più teorico: perché ignorare la dimensione musicale delle relazioni umane? Perché lasciarla solo agli studi e studiosi? Perché non farne oggetto di politiche sociali? Voglio dire: sappiamo con sufficiente sicurezza scientifica che la musicalità è la forma con cui sono organizzate le relazioni umane affettivamente significative. Perché non porsela allora come un obiettivo di interventi delle politiche sociali? Fornire cioèper esempio agli insegnanti, agli assistenti sociali, agli infermieri e a tutti gli operatori socialistrumenti di conoscenza e di intervento (know how) intorno alla musicalità che è costitutiva della socialità umana? Perché solo idee e teorie, ma non anche “musica”? Ce n’è in giro in verità, vi sono insegnanti che lavorano “musicalmente”, lo fanno associazioni di volontariato, di intervento sociale. Ma quasi come un “lusso”. E sono tentativi volontari, individuali, estemporanei. Occorrerebbe invece che nascesse un nuovo “senso comune” sulla musicalità comunicativa. Una “cultura” condivisa. Per essere insegnanti oggi si richiede di conoscere la materia da insegnare (nelle scuole ottocentesche dei paesini isolati si poteva diventare maestri di scuola essendo analfabeti! Abbiamo fatto passi avanti dunque). Per essere assistenti sociali è necessario conoscere le pratiche di intervento sociale. Per essere infermieri occorrono competenze sanitarie. E così via. Bene. Ed è “senso comune” che queste cose siano come sono: “è ovvio”, ci diciamo. Benissimo. Ma occorre che diventi anche ovvio che questi operatori sociali posseggano oltre alle competenze tecniche, una capacità di comunicazione e interazione “musicale”. Che siano produttori di armonia, oltre che di “servizi agli utenti”. Che abbiano una competenza scientifica e un know how personale in questo campo.
Se non sei capace di produrre musicalità non vai in una classe a insegnare italiano, anche se hai studiato Dante.
Se non sei capace di relazioni musicali, non vai in una casa dove esistono problemi di degrado sociale, anche se hai studiato materie socio-psico-antropologiche e giuridiche.
Se non sei in grado di assistere i malati con una “intonazione” musicale, non vai in corsia, anche se hai studiato la sanità. E così via. Ecco: “senso comune” sulla musicalità delle relazioni umane.
La musicalitàcome la musica in senso strettoha unulteriore rara qualità. Come insegna il jazz, come insegnano tutte le forme musicali che fondono più tradizioni musicali, nel suono suonato la musica è in grado di accordare ciò che in partenza sembrava non accordabile. In altre parole è in grado di produrre forme musicali “meticce”. E il meticciato dovrebbe diventare la nuova parola d’ordine del futuro. Meticciato. Come è stato dalle origini dell’umanità. E soltanto negli ultimissimi secoliche rispetto alle migliaia danni del percorso dellHomo sapiens sulla terra sono nienteè diventata una parola negata.
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