ArchivioAntropologicoApolito n°15 - 14.4.2023
Nelle celebrazioni popolari della Pasqua appena passata, fino a pochissimi decenni fa al “Popolo di Dio” venivano additati due grandi colpevoli della morte di Cristo: gli ebrei e i rom (“zingari”). Soprattutto gli ebrei, durante le cerimonie della Settimana santa erano sistematicamente additati (e in passato maltrattati) come deicidi, cioè assassini di Dio. Nei canti, nelle preghiere, nelle letture, nelle processioni, nelle leggende che si tramandavano. Ma anche i rom subivano la stessa sorte, in canti e leggende che raccontavano che quando la Madonna andò a chiedere ai “mastri forgiari zingari” – che erano unanimemente riconosciuti come i migliori del mestiere – di fare “chiodi piccoli e gentili”, ché dovevano forare “li carni di lu figliu mio gentili”, la risposta che ne ricevette fu che li avrebbero fatti doppi e spuntati “che ogni botta se vola na custata”.
Se per il primi l’infondatissima accusa si reggeva sul contesto storico-sociale in cui la morte avvenne, nel caso dei rom non aveva neppure questo per reggersi: era puro effetto di anacronistica fantasia. Perversa, poiché demonizzava un popolo innocente che aveva il torto di infastidire i poteri sociali e religiosi dei secoli passati.
Ma infastidiva i poteri, non la gente comune. I rom, che vivevano in molte zone rurali e anche urbane in passato, erano inclusi non esclusi, cioè vivevano secondo la loro cultura ma non venivano per questo emarginati. Marginali ma non emarginati. Anzi al contrario avevano scambi frequenti con le popolazioni locali, di tipo economico (erano considerati provetti cavallari, oltre che fabbri), culturale, rituale e musicale.
E qui devo citare me stesso, una pagina di “Tre compari musicanti”: “In tutto il Regno (di Napoli) gli zingari erano malvisti. Però dalla Chiesa e dal potere civile, piuttosto che dalla gente comune, che invece andava a cercarli o li aspettava nei loro giri continui. Ci sapevano fare con i cavalli, erano considerati provetti cavallari. Ed erano “mastri forgiari” di impareggiabile perizia. E tra una falce e una vanga, ecco che dalle loro forge usciva lo scacciapensieri, che in Paese e in buona parte del Regno era chiamato appunto “tromba degli zingari”, perché la facevano loro e la suonavano da incanto. Gli zingari erano onnipresenti nelle feste e nei rituali, a Carnevale la Zingara era una maschera necessaria di buon augurio; il Venerdì santo la Zingara sfilava nel corteo funebre di Gesù morto. Nelle veglie, nelle feste, nei repertori dei cantastorie venivano fuori canti e cunti sugli zingari, e non è detto che ne dicessero male, “zingarella anima bella vienimi vienimi a cunsula’”, era il primo verso di un diffuso canto d’amore. Ciò che soprattutto infastidiva la Chiesa era che gli zingari, e soprattutto le zingare, venivano considerati dalla gente i migliori indovini e maghi. «Ordiniamo rigorosamente ai vicari foranei – aveva scritto un vescovo dopo una visita pastorale nella diocesi di cui faceva parte il Paese già nel ’600 – che quando nelle terre e nei luoghi della nostra Diocesi arrivano le donne Egiziane, chiamate zingare dal popolo, le quali sono solite ingannare le persone semplici, dichiarando loro che conoscono e presagiscono il futuro, insegnando loro molte superstizioni e distribuendo certi foglietti, asserendo che sono preghiere devote e riconosciute per ottenere o fare qualcosa, vigilino attentamente su queste cose e se giunge alle loro orecchie che appunto queste donne abbiano compiuto tali cose malvage, subito assumano informazioni e le mettano in carcere». E di avvisi del genere ve ne saranno altri in seguito, segno che non venivano ascoltati dalle popolazioni. Gli zingari infastidivano perché facevano concorrenza al controllo simbolico del sacro, che era monopolio ecclesiastico”.
In Campania lo scacciapensieri o marranzano o jews-harp è chiamato tromba degli zingari. E non la suonano solo i rom, poiché non è uno strumento esclusivo dei rom, allo stesso modo in cui le Fronne e le tammorriate non sono forme musicali esclusive dei “locali”: c’è un dialogo tra culture e forme culturali (cfr. frammenti 2 e 3).
Nel 1980 ero ad Atena Lucana per la festa patronale. Nella fiera che si teneva, incontrai un gruppo di rom che vivevano ad Avellino. Familiarizzai, andai a trovarli a casa loro. Queste registrazioni risalgono a quegli incontri. Non chiesi loro i cognomi, poiché abituati a rilasciare le generalità a poliziotti e carabinieri, avrebbero sospettato fossi una guardia in borghese che si presentava sotto i falsi panni dello studioso. Conservo i nomi, Fonzo, Anna, Michele. Registrai musica, un po’ meno parole, per lasciarli più liberi di parlare senza registratore (non dovevo fare una sistematica ricerca su di loro). E venimmo a parlare di un fantomatico “romanzo” in cui – appunto - si diceva che furono gli zingari a fare i chiodi della crocifissione di Gesù. Mi diedero una lezione di principi giuridici moderni, che i razzisti di tutte le specie e forme ignorano. Non ho edulcorato la registrazione, ho lasciato i segni dell’”ignoranza” (il “romanzo”, la morte di Cristo solo due o tre secoli fa): proprio per questo risalta con maggiore evidenza la limpida chiarezza dei valori di umanità comune che esprimono le parole di Fonzo. Vale la pena di ascoltarle, sono in chiusura del documento.
Qui di seguito, i frammenti che compongono il documento presentato in Facebook:
1. La tromba suonata da Fonzo, mentre altri accompagnano con ritmi vocali, scandisce il ritmo di una tarantella
2. La tromba di Fonzo (rom) accompagna Concetta (rom) che canta una Fronna
3. La tromba di Giovanni Di Mauro (contadino di Somma Vesuviana) accompagna Giovanni Coffarelli (id.) che canta una Fronna
4. Conversazione con Fonzo In Youtube dopo il video di Facebook, a 3’30’’, i brani musicali integrali (8'53'').
Note bibliografiche
1. P.Apolito, “Canti di maledizione degli zingari”, Lacio drom,1977, nn.3-4.
2. P. Apolito, Tre compari musicanti, Potenza, Grenelle, 2023.