Uccidere sparando in petto a bruciapelo un ragazzo che faceva da paciere(appena qualche anno addietro potevano essere compagni di giochi infantili); accoltellare a dodici anni un bambino di cui si era ancora compagna di giochi e di banchi; uccidere un coetaneo per una scarpa calpestata per errore; uccidere (per errore?) con un proiettile in fronte un cugino; buttare giù dal balcone la fidanzatina che aveva tentennamenti e altro ancora, sono delitti più atroci perché compiuti in anni in cui non si è ancora diventati uomini o donne. Bambini o poco più, senza nessuna delle maturazioni che costituiscono l’adultità piena, (che dovrebbe essere) capace di controllare le proprie emozioni, di deliberare ciò che si fa. Bambini o poco più che con un sol gesto aprono la rovina di sé, oltre che delle proprie povere vittime. Perché questi poco più che bambini hanno armi, hanno pistole, hanno coltelli. E li usano.
Fa orrore. Quasi neppure ancora venuti al mondo, già artefici di distruzioni di vite, quelle delle loro vittime, le loro stesse. Distrutti prima ancora di potersi affacciare alla vita. Sono davvero gli ultimi della società, gli ultimi tra gli ultimi.
Queste vite negate di cui veniamo a conoscenza così spesso negli ultimi tempi, non sono funghi malati che spuntano in mezzo a rigogliose campagne, no, sono molto più vicini e simili di quanto non sospettiamo a tutti gli altri, a quelli “normali” che vivono nelle nostre case, che popolano le aule scolastiche, che affollano le movide. E che sono stati relegati nelle periferie della nostra società. È un pezzo di realtà che ci stiamo nascondendo: queste età acerbe della vita sono relegate nelle periferie della nostra società. A volte cupe periferie in senso fisico, urbanistico, altre volte nascoste periferie simboliche. Cioè collocati là dove pochi si interessano di loro. Il mainstream mediatico e politico si occupa di altre cose, spesso ben meno rilevanti. A loro torna solo quando c’è un nuovo efferato delitto, e allora titoloni, talk, esperti, poi tutto torna nell’oscurità, in attesa del prossimo.
Gli studiosi esperti dell’adolescenza ci informano sugli attuali profondi disagi di quest’età. Ci dicono che i responsabili principali sono la mercantilizzazione totale del mondo, il trionfo dell’”apparenza”, gli smartphone che li sequestrano negli ”ambienti virtuali” a fini commerciali, non certo educativi. E l’elenco potrebbe continuare. È vero, ci diciamo. Ed è vero poi che il Covid è stata la mazzata finale di un lento processo che si muoveva sottofondo e che forse in nessun luogo si avvertiva come nelle scuole.
C’è una quantità indiscussa di buone professoresse, buoni professori, ne sono sicuro; gente che dà la vita per la professione e la missione dell’insegnamento. Ciò nonostante la scuola come istituzione langue, è incapace di mettersi al passo con il mondo extrascolastico. È avvolta in una spirale di burocratizzazione dalla quale non riesce a liberarsi. È allocata spesso in edifici fatiscenti, freddi, inospitali. Quasi carceri. È preda forsennata di riforme che contraddicono riforme precedenti, in gran parte carta straccia. Nonostante le buone professoresse e i buoni professori – che però non sempre ci sono – è incapace di “ascolto”. In realtà la scuola stessa è scivolata nelle periferie della nostra società.
Eppure è anche l’unica, concreta istituzione che si mette al servizio della folla enorme e sconosciuta degli adolescenti. Non ce ne sono altre. Ma da sola non ce la fa. È come un aeroplano che non ha le ali e si arrabatta a tentare un decollo impossibile.
Fa rabbia e paura la quasi totale assenza di servizi educativi extrascolastici diffusi nel territori. A cominciare proprio dalle periferie, quelle urbanistiche. E - quando vi sono - le associazioni su base volontaria e solidale che faticosamente lavorano nei quartieri a rischio sono spesso ignorate se non ostacolate dalle istituzioni. Fa rabbia ascoltare – quando avviene l’ennesimo delitto - le voci delle istituzioni che dicono che troppe armi circolano tra i ragazzi, che devono essere disarmati, come se una bacchetta magica prima o poi possa toglierle dalle loro mani. Forse ignorano che quando un modello culturale si diffonde dal basso può essere combattuto solo da altri modelli (e istituzioni che li reggano) e non da magiche risoluzioni. E che il compito delle istituzioni sarebbe proprio quello di mettere denaro e organizzazione, e soprattutto di attivare competenze educative nelle periferie esistenziali che continuano vegetare per strade e per piazze dominate dalla logica del profitto, della prevaricazione, persino della criminalità.
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