ArchivioAntropologicoApolito n°16 - 21.4.2023

Sono un esercito. Numerose, ricche, complesse. E vive. Certo non sono quelle di cent’anni fa e neppure di cinquanta. Si muovono come il tempo. Rapidamente. E per strada, è vero, hanno perso varietà, ora tendono a essere le stesse dal nord al sud della Campania (comprendendo anche il basso Lazio ed escludendo il Cilento). Quarant’anni fa il modo di suonare il tamburo variava di paese in paese, anzi di frazione in frazione. Oggi, con qualche importante eccezione, tende a un’omologazione crescente. Perché sono morti i grandi suonatori del passato che marcavano ogni località con il loro genius loci. Perché una volta le comunità erano più chiuse all’interno. E perché le cosiddette scuole di tammorra e di ballo hanno ridotto e omologato i modi di suonare e danzare: in un certo senso il successo metropolitano di questa forma contadina l’ha “traviata”, l’ha portata via dal suo ambiente originario rurale, in parte l’ha trasferita dalle piazze e dai sagrati delle chiese (dove preferibilmente si suonava in passato) ai luoghi chiusi dove sono state allestite scuole di tammorra spesso improvvisate e provvisorie. 
Però la tammorriata come forma di canto, suono e ballo continua a godere di buona salute. C’è una sorta di “popolo di tammorriata” che si sposta di luogo in luogo appena si diffonde la voce che si suona e dunque si balla. Non sono contadini, non sono più contadini (che si contano sulle dita di una o due mani), sono studenti, insegnanti, impiegati e disoccupati, sono il ben noto “popolo della tammorra”. A volte invadente, a volte esigente, a volte prepotente (dice: solo tammorriate, il resto che noia). Quarant’anni fa per assistere a un evento di tammorriate l’unico modo era andare ai luoghi di feste e di pellegrinaggio, soprattutto mariani, aspettare che finisse la cerimonia religiosa del mattino e che nel pomeriggio si mangiasse e bevesse e poi si scatenassero i cerchi di tammorriate. Queste feste, questi pellegrinaggi persistono tuttora. Ma non sono più gli unici offerti alle tammorriate. A parte le famigerate “scuole”, vi sono concerti, feste di piazza, spettacoli: la tammorriata ha “successo”. Quarant’anni fa c’era un’”aristocrazia” dei canti e dei suoni, non cantava e suonava chiunque. O meglio anche chiunque, ma solo dopo che avevano cominciato i migliori e questi avevano poi dato spazio agli altri. Se si va oggi in uno di questi luoghi si vede la ressa di suonatori, cantatori e soprattutto danzatori improvvisati che si lanciano nella mischia spesso sovrastando la voce o calpestando i piedi degli anziani più bravi. Ciò nonostante la tammorriata c’è, vive e continua a vivere. Quasi una nuova tammorriata, quasi non più contadina (il mondo contadino indebolito, quasi scomparso), quasi tutta metropolitana (la nicchia identitaria). 
Il video proposto è una parte di una tammorriata che concluse, nel luglio 2009, un seminario di Roberto De Simone a Giffoni Valle Piana, nel convento di San Francesco. Era parte di un programma in cui fondemmo Campusinfesta (Università di Salerno), Salerno Creativa (politiche giovanili) e Giffoni Film Festival. Erano stati invitati tra i maggiori protagonisti della “scena” delle tammorriate campane. Il video è aperto dalla tammorriata di Madonna Avvocata (tra Cava dei Tirreni e Maiori), segue poi la particolare tammorriata di Giugliano, a cura della famiglia Di Febbraio, con il suono del “sisco” (si noti la splendida voce femminile che canta una Fronna), chiude un frammento della Paranza di ‘O ‘Gnundo di Somma Vesuviana. In mezzo suonano Raffaele Inserra, Marco Limatola, Ugo Maiorano, tra i più riconosciuti tammorrari. Ci sono anche Giovanni Coffarelli e Biagino De Prisco, ma non sono ahimè presenti nel video. È interessante la presenza dei bambini. Sono quelli che garantiscono che la tammorriata non morirà nelle scuole di tammorra, poiché fin quando i bambini assisteranno ai canti e balli, vi saranno nuove generazioni che l’apprenderanno nel modo tradizionale. 
Come al solito su Facebook un estratto (composto da 4 frammenti) di poco più di 3 minuti in totale. Ma bisogna andare a guardare tutto l’inserto su Youtube, della durata di 13 minuti. (un cammeo: compare per qualche secondo Roberto De Simone, colto nel compiacimento per quella festa tutto sommato offerta a lui) Per la tammorriata non basta un solo post. Ci tornerò: sulla “devozione” della tammorriata.
Back to Top