
Quando cominciai a pubblicare la newsletter dell’antropologo a domicilio – sono passati ormai quasi dieci anni – i miei post erano piuttosto lunghi, in media una decina di minuti di lettura. Oggi, quelli che continuo a pubblicare, se superano i quattro minuti di lettura sono considerati lunghi. Il tempo medio è intorno ai due-tre minuti. Io non sono cambiato, i miei obiettivi sono invariati, il mio modo di scrivere è identico, cos’è cambiato nel frattempo?
Che la comunicazione pubblica è diventata quasi esclusivamente di slogan. Magari urlati e più efficaci proprio perché urlati. A cominciare dal discorso politico, che è ridotto a formulette e spesso svolta in invettive agli avversari tanto più efficaci quanto più violente (e vuote di senso).
I giornali, per chi ancora li legge, sono sempre più scorsi nei titoli, un articolo più lungo diventa un “longform”. I notiziari televisivi seguono la stessa deriva, con l’aggravante di essere diventati spenti rituali che si limitano a ripetere le stesse formule e formulette. I talk show, le trasmissioni di cosiddetto “approfondimento” ripropongono gli stessi ospiti che presentano i medesimi tic espressivi, e che catturano l’attenzione proprio in quanto ripetuti. Di approfondimento reale non c’è traccia, perché l’idea è che se si invitano gli spettatori a pensare, cambiano canale: il pubblico vuole la velocità (ma è la pubblicità a predisporla, in realtà), magari la rissa.
Qualcuno dice che siamo tornati in una società orale, senza scrittura. Ma la società orale di tipo arcaico era lenta, cioè consentiva un tempo lungo all’ascolto. Oggi è proprio questo che manca: il tempo lungo dell’ascolto (e anche la lettura è un ascolto). Cioè il tempo lungo della riflessione. E questo giova a chi ha strategie politiche che scommettono sul non-pensiero degli elettori, sulla “pancia”, sulla forza propagandistica degli slogan. Per costoro gli elettori non vogliono essere disturbati da un invito a guardare alla complessità delle cose. Ma le cose non diventano semplici perché si chiudono gli occhi: i problemi irrisolti si incancreniscono e ciò che ieri era affrontabile oggi diventa gigantesco e domani fuori ogni misura di risoluzione (com’è per l’ambiente, ma non solo).
È per questo che io penso che leggere sia diventato oggi un atto di resistenza. Leggere. Romanzi, saggi, articoli di approfondimento. Leggere per riflettere. Atto di resistenza. Domani i nostri nipoti ci chiederanno, ma voi come avete resistito al degrado del mondo che ci avete lasciato?