Antropologo a domicilio n°35 (19.3.2018)

Anche quest’anno l’ISTAT consegna un profilo di italiani che non leggono libri. Anche quest’anno scende la percentuale dei lettori, anche quest’anno il futuro del libro in Italia appare cupo. Qualche piccolo segnale positivo forse c’è, ma la sostanza rimane, gli italiani che non si accostano mai a un libro sono la maggioranza, decine di milioni. Mai a un libro. Ma non mi aggiungerò alla fila di coloro che danno ogni colpa alla tecnologia e ai social media, che lamentano la fine della civiltà e dell’umanità stessa, pronta a diventare un gregge di cloni schiavi della tecnologia. Una recente ricerca di antropologi sparsi per il mondo in nove paesi e coordinati in un unico discorso (http://www.ucl.ac.uk/why-we-post), ha mostrato come l’uso dei social media sia estremamente diversificato nel mondo, e che se, per esempio, sei un paziente di una malattia invalidante a casa, lontano dalla struttura di servizio sanitario che ti segue, utilizzare i social media dà un aiuto eccezionale. Caso limite si dirà, ma l’umanità è fatta di casi limite: per gli altri. Dunque non me la prenderò con i social media per fare di tutta l’erba un fascio.
La questione a me sembra un’altra. L’allontanamento dai libri coincide con la crisi delle relazioni sociali che l’Italia vive da ormai qualche decennio. E che rischia di trasformare il paese una volta famoso per la socialità positiva degli abitanti, in un paese rancoroso e spaventato. Le ragioni di questo cambiamento sono troppo complesse perchè possa affrontarle ora e qui. Ma posso suggerire la ragione per cui la scarsa abitudine a leggere libri aiuta se non accelera questo fenomeno.
Perché ciò che fa perdere l’allontanamento dai libri è l’intimità. Già. E precisamente l’intimità culturale.
Mi spiego. In breve.
Leggere un libro che ti prenderiesce più facile se è un romanzo, ma anche un saggio, se è ben scrittoè sprofondare in un universo di emozioni e pensieri che ti fa navigare in un orizzonte sterminato di intimità con te stesso e con le pagine scritte. Qui è necessaria una precisazione: in genere interpretiamo l’entrare nell’intimità con se stessi come un isolarsi dal mondo. A questo proposito parliamo di una nostra “interiorità” che scopriamo nella lettura. Ma in realtà l’intimità non è con se stessialmeno non solo con se stessibensì è con gli altri. Cioè con la nostra cultura comune, con il mondo comune di appartenenza con gli altri e agli altri, di cui la letteratura è leco consolidata nel tempo. La lettura è come una trance laica. Non con il divino fuori di noi, com’era la trance religiosa “classica”, ma con l’umanità esterna a noi. Che proprio nella lettura scopriamo interna a noi. La lettura insomma, nella misura in cui fa entrare intimamente in noi emozioni, pensieri, vicende degli altri, ci fa umani, cioè appartenenti all’umanità comune. Insisto sulla “umanità”, nel senso più ampio del termine. Cioè non divisa per etnie, nazioni, civiltà e tutto il resto. Ma unificata nel patrimonio letterarioe aggiungo: narrativo, cioè anche oraleuniversale. Se leggo Anna Karenina non sento nessuna estraneità con un libro che pure è nato in una società non mia, in un mondo alieno che usa una scrittura cirillica, e scritto più di cento anni fa da uno strano signore con una lunga barba bianca. No, io leggo echi della mia anima. In realtà questi echi sono nello stesso tempo echi di me e echi di tutto di ciò che è umano. Dentro e fuori di me. E Tolstoi non è più quello strano signore eccetera eccetera, ma sono io. E questo ioil mio io, intendodopo la lettura è più ampio, largo, e aperto, perché comprende qualcosa di vasto come lumanità in generale. Oppure - più precisamente - è compreso da essa. E allora leggere significa ampliare la propria umanità, allargandola agli altri. Entrare in intimità con gli altri attraverso l’intimità con se stessi. E il prodigio è questo: stai bene con te stesso perché avverti l’eco, o la presenza stessa, di tutti gli altri, presenti o passati, di qui vicino o lontanissimi, tutti insieme. Sei trascinato fuori di te e sei in pace con te perché sei in compagnia degli altri (altri immaginari della pagina, certo, ma che ti fanno vibrare in quanto umani, non pietre, non atomi, non entità astratte). Una trance. Che ha il dono di farti riscoprire la socialità positiva che ci unisce. Senza confini di patrie, nazioni e civiltà. La trance classica ti metteva in contatto col divino, questa con gli altri. E te stesso in mezzo a loro.
E allora non leggere equivale a non allenarsi alla propria umanità. Innanzitutto non allargare la propria intimità, cioè quella con se stessi. E soprattutto non avvertire l’emozione estatica (letterarmente: uscir fuori da sé) di essere in presenza di ciò che è più grande di noi, pur essendo non estraneo a noi, ma, appunto, intimo.
Io penso che vi sia una relazione tra il poco leggere in Italia e il crescente spirito di ostilità collettiva che molti avvertono e lamentano.
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