Antropologo a domicilio n°85 (27/10/2022)

Vogliamo per un momento fermarci a riflettere sul fatto che un indiano è diventato primo ministro della Gran Bretagna? D’accordo, non è esattamente di nazionalità indiana, Rishi Sunak è nato in Inghilterra, ma è figlio di indiani (peraltro nati l’uno in Kenia l’altra in Tanzania), nipote di indiani (questi nati in India), marito di un’indiana, padre di bambine inequivocabilmente indiane. Ed è di religione indù.
Dal 1857 l’India appartenne alla Gran Bretagna. Ma già prima, e dal XVII secolo, era sotto il controllo della Compagnia britannica delle Indie orientali. L’India divenne indipendente solo nel 1947. Fu grazie soprattutto al dominio sull’India che la Gran Bretagna conquistò un ruolo mondiale, una ricchezza stratosferica, una centralità politica globale. Quanti lutti, dolori, sopraffazioni, abomini furono necessari per questo dominio? Un’immensità.
Ma il Tempo, che prima o poi ridicolizza le nostre illusioni, e disfa le nostre “salde” costruzioni su sabbia, ha fatto in modo che nemmeno ottant’anni anni dopo la fine del dominio della Gran Bretagna sull’India, il suo posto politico più alto venisse occupato da un figlio dell’India. Il Tempo, questo sovrano di tutte le cose (umani compresi), ride di noi. In questo caso non tanto per i lutti, dolori e sopraffazioni che furono necessari al dominio inglese, quanto per il ridicolo in cui ha fatto cadere la grande cornice di discorsi ideologici che li accompagnarono, e che potremmo richiamare semplicemente con quella nota etichetta, il “fardello dell’uomo bianco”, dal verso di una poesia di Rudyard Kipling: il dovere di civilizzazione che l’Occidente pretendeva di avere nei confronti del resto del mondo (metà diavoli e metà bambini”, diceva Kipling dei popoli sottomessi dall’Occidente. Che appunto avevano bisogno di essere civilizzati dall’uomo bianco, per crescere e liberarsi della parte demoniaca).
Sospetto che qualcuno possa ancora oggi pensare che in fondo questo compito è stato assolto, e che un indiano sieda a Downing Street ne è appunto una prova.
Ma sarebbe qualcuno ben distratto in verità. Kipling più di un secolo fa poteva pur dire (e pensare) questo blablabla, ma oggi sarebbe difficile davvero dirlo e pensarlo, dopo due sanguinosissime e inutili guerre mondiali - che non sono venute dai metà diavoli e metà bambini - e dopo la Shoah. Quale lezione di civiltà potrebbe ancora rivendicare l’Occidente guardandosi allo specchio del Novecento?
Eppure ascoltiamo - e ancora ascolteremo io temo, nel Tempo del nostro governo “sovranista” e “patriota” - discorsi sulla superiorità dei nostri valori, sulle identità e cose del genere. E il Tempo già ora forse, ma certo prima o poi riderà di noi. Poiché vede per quanto ci siamo illusi e quanto continuiamo ad illuderci: cioè quanto amiamo ammantare di Alte Parole il nulla.
O no: piuttosto i bassi interessi di bottega. Il fardello dell’uomo bianco alla fine dei conti (storici) si è risolto per lo più in un travaso efficace – questo sì, non inutile – di ricchezze da una parte del mondo verso un’altra. Travaso le cui conseguenze sono il mondo in cui viviamo.
Leggo questa notizia da “Mondo capovolto”, newsletter del Corriere della sera: “Quaranta miliardi di danni. A tanto ammonta il salatissimo “conto” delle inondazioni che hanno colpito il Pakistan quest’estate, secondo le stime della Banca Mondiale. Il Paese asiatico stava già soffrendo una durissima crisi economica quando le fortissime piogge monsoniche hanno cominciato a colpirlo a metà giugno. Ad un certo punto,  un terzo del territorio nazionale si è ritrovato sommerso dall’acqua, costringendo centinaia di migliaia di persone a lasciare le proprie case. Le inondazioni, rese estreme dai cambiamenti climatici, hanno ucciso 1.719 persone e distrutto due milioni di case. Il premier Shahbaz Sharif ha ribadito che il Pakistan contribuisce per meno dell’1% delle emissioni climalteranti globali eppure è tra i dieci Paesi più colpiti al mondo dalle conseguenze della crisi climatica” (Sara Gandolfi).
Come il Pakistan, vi sono decine di paesi. Poveri e vulnerabili. Recentemente si è formato un gruppo di 55 paesi, con 1,4 miliardi di abitanti, che sono responsabili solo del 5% delle emissioni globali di gas serra. Ma che sono anche i più vulnerabili, come il Pakistan. E con una sovrabbondanza di popolazione giovane. Che spinge sui confini dei paesi ricchi per entrarci. Respinta e ostinatamente pronta a riprovarci.
Il nostro mondo attuale. Figlio delle illusioni del fardello dell’uomo bianco.
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