Ho incontrato zi' Lucia Molisse di San Marzano sul Sarno a casa sua, grazie a Biagino De Prisco, vero animatore culturale di quel paese. Zi’ Lucia, detta ‘a Sciarella, ma anche ‘a Caivanese, perché sposò un caivanese, mi ha accolto con grande cordialità. C'era una figlia con lei, Michela, poi sono passate le altre tre figlie a salutarla. Zi' Lucia all'inizio era timida, ma anche io lo ero e lo sono stato per tutto il tempo della mia permanenza, per l’effetto che sempre mi fa la calda e franca ospitalità di una casa contadina. Poi zi' Lucia si è sciolta e la mattinata è andata avanti. Ha raccontato della sua infanzia contadina, del lavoro duro, che non faceva sconti all’infanzia, poi la sua storia d’amore contrastata, la fuga con il futuro marito, l’accordo con la famiglia, e la dura vita matrimoniale dei primi tempi, ma anche dopo. Ma zi’ Lucia aveva voglia di arrivare a questi ultimi anni, l’ho capito solo dopo, a quando l’incontro con il bambino Biagino De Prisco, poi cresciutello, infine adulto le ha dato l’occasione di continuare a cantare e ballare, dopo i primi anni della sua vedovanza, in cui s’era chiusa a riccio, con grande preoccupazione delle sue figlie.
Non ho mai interrotto zi' Lucia, non ho fatto domande, anche se ne avrei fatte volentieri, per chiedere chiarimenti, dettagli, precisazioni. Non ho voluto interromperla poiché credo avremmo avuto difficoltà entrambi, io a farmi capire, lei a capire. Zi' Lucia se ne stava ben chiusa nel suo dialetto che è una lingua, ben comoda, e il mio tentativo di farle domande in una traduzione abborracciata l'avrebbe forse disorientata. Per me contava soprattutto che lei si sentisse progressivamente libera di comunicarmi ciò che voleva e non altro. Raccontare a un’altra persona di sé è possibile solo se si crea un'atmosfera, e questa si era creata.
I ricercatori di storie di vita a volte hanno precisi obiettivi scientifici di documentazione di memorie collettive, e dunque svolgono le loro indagini e tengono le loro conversazioni orientate a questi loro obiettivi. Per questo scavano nelle storie di vita, incalzano i loro interlocutori, tornano e ritornano su punti non chiari, non illuminati. Ma io non avevo un obiettivo che andasse al di là del racconto che zi’ Lucia decidesse di farmi. E che mi ha fatto.
Ad un certo punto le ho chiesto di come vissero i drammatici momenti della seconda guerra mondiale. Ricordava soprattutto i bombardamenti, le luci accecanti che s’accendevano di notte per favorire ai piloti dei bombardieri la vista degli obiettivi, ricordava le loro fughe per trovare riparo, quella culla della sorellina messa in testa fuggendo, nell’illusione di rendersi invisibili alle bombe.
Ma la mia era anche una domanda test, volevo capire se lei aspettasse una mia sollecitazione per riaccendere la memoria su altro della sua vita che non mi aveva raccontato fino a quel momento. Ho capito che invece non vedeva l’ora – e Biagino con lei – di andare a ciò cui teneva molto: cioè appunto il rapporto che aveva stabilito negli ultimi anni proprio con Biagino. E poi di arrivare ai canti, alla musica, al racconto delle feste musicali. Ed è ciò che è avvenuto. (La parte della registrazione in cui zi’ Lucia canta non si trova nell’attuale numero di “Raccontami la tua vita”. La pubblicherò invece al prossimo numero della Newsletter nella rubrica “Archivio”).
Ho visto e rivisto il video per la necessità di comporre le didascalie della traduzione in italiano (e qui Biagino mi ha dato una mano indispensabile), ma più vedevo le sue sequenze, meno lo avvertivo come dovere. Subentrava il piacere, in parte della memoria di quella mattina, ma in buona parte per il fatto di guardare un evento che aveva una sua intrinseca e profonda bellezza. C’era una donna, una contadina di novant’anni, piena di acciacchi dell’età, ma anche per la vita durissima che aveva fatto, che raccontava a uno sconosciuto le trame della sua vita. Lo faceva in una lingua criptica, estremamente musicale, in cui lei era immersa con evidente godimento, giocando sulle pause, le enfatizzazioni, i giochi di parole. Si divertiva, aveva da raccontare vicende anche terribili, ma non riusciva a guardarle se non con una certa ironia. E poi non vedeva l’ora di arrivare a questi ultimi anni, in cui grazie a Biagino stava andando in giro a godere ciò che nella sua vita precedente non aveva mai sognato di poter godere. Una novantenne che vive i suoi attuali giorni con il gusto di un’adolescente, ecco. Questo video, alla fine, mi ha riconciliato con la mia stessa vita, per il godimento che ne ho avuto per un incontro con una persona lontana da me per più di un motivo, eppure così intimamente vicina a me in un momento di sua felicità espressiva e narrativa, che non ha potuto che contagiarmi.