Antropologo a domicilio n°50 (3.6.2019

Thomas ha undici anni, è figlio di una italiana di fede cattolica e un inglese ateo, il nonno materno era un comunista italiano, quello paterno un imam pakistano, la nonna materna è polacca ed è devota di Padre Pio, di quella paterna non sa molto, è morta da molti anni. Vive a Napoli ma va almeno un paio di mesi all’anno in Australia dove vive suo padre, due anni fa è andato a trovare il nonno in Pakistan e forse l’anno prossimo ci tornerà, Thomas di che cultura è? Ah, a proposito, Thomas parla napoletano, italiano, inglese e conosce anche un po’ di polacco. Tifa Juventus.
— Ma tu di che cultura sei?
Due anni fa, il 7 ottobre 2017, più di un milione di cattolici polacchi si inginocchiò lungo le linee di confine nazionale per pregare affinché Dio evitasse l’invasione islamica nel loro paese e in tutta l’Europa. Anche in Italia alcuni provarono a darsi un analogo appuntamento, senza raccogliere però grandi numeri. In Polonia l’evento invece venne sostenuto dalla Conferenza episcopale. L’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski dichiarò: «Vogliamo pregare perché l’Europa ha bisogno di restare cristiana per salvare la sua cultura”.

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Se uno legge laicamente il Vangelo, ha difficoltà a comprendere come sia possibile mettere insieme parola evangelica e “cultura” che separa. Non c’è una sola parola nei quattro Vangeli sinottici, una sola, che incoraggi una mentalità di separazione. Come è stato possibile allora che dal cuore di un libro sacro per i credenti siano nati tali atteggiamenti? Lasciamo stare il passato, lasciamolo agli storici: com’è possibile oggi, quando il Vangelo appare in tutta la sua radicalità di messaggio universale?
La data della manifestazione fu decisa per un ricongiungimento ideale al 7 ottobre 1571 quando a Lepanto la flotta cristiana trionfò su quella ottomana evitando così l’invasione dell’Europa. Da quel giorno sono passati 450 anni. In mezzo, “tutto”: genocidio degli indios, colonialismo e imperialismo, illuminismo e lotte per la libertà e per l’emancipazione nazionale, democrazia, liberalismo, socialismo, emancipazione femminile, diritti dell’infanzia, diritti umani. Senza dimenticare le orribili e secolari guerre fraticide europee culminate nella Seconda guerra mondiale e nella Shoah. Da cui si era usciti con il desiderio di non ripetere più quel passato. Da qui, il desiderio di unità e pace della generazione che ricostruì Europa sulle rovine immani di quei cinquecento anni. Che oggi vengono saltati a pie’ pari come se non ci fossero stati e come se davvero oggi si potesse nuovamente riproporre la bandiera crociata di Lepanto.
Ignorando del tutto il Vangelo.
Bisogna dirlo: la parola “cultura” è diventata una rovina intellettuale, una maledizione del pensiero che spinge a chiudere in pacchetti ciò che non è chiuso nella realtà. Non esiste una cultura cattolica, e non esiste una cultura islamica, semplicemente perchè non esistono le “culture”. Esistono gli esseri umani. E gli esseri umani non sono incasellati in culture. Ciascuno di noi ha incorporato “modelli culturali”, alcuni dei quali — la prevalenza — assunti nella propria infanzia e gioventù nei luoghi in cui si è vissuto; altri — moltissimi, quanto più ricca è stata la propria esperienza di vita — assunti nel corso della propria esistenza (incontri, viaggi, libri, film…). Io, tu, lui, lei, loro, siamo un mix di modelli culturali alcuni dei quali “italiani”, “meridionali”, settentrionali”, “napoletani”, “torinesi”, “parigini”, “moscoviti”, “newyorkesi”, “cristiani”, “musulmani” e così via (con le distinzioni poi, quartiere per quartiere, e decennio per decennio). E più persone abbiamo incontrato ed esperienze fatte, più ne siamo ricchi. E se poi siamo figli di persone che per parte loro hanno vissuto altrettante esperienze ricche, ne siamo ulteriormente arricchiti per mezzo loro.
No, non esistono per niente queste “culture”. Nessuno di noi sta dentro una cultura e per questo fuori da tutte le altre. La “cultura” è stato un concetto necessario più di un secolo fa. Gli antropologi che lo elaborarono ebbero il merito di far comprendere alla fine dell’Ottocento che non esistevano esseri umani di “natura” e esseri umani di “cultura” (civiltà), ma che tutti i popoli avevano la stessa dignità. Peraltro era un’epoca in cui certe separazioni culturali (e geografiche) erano relativamente nette. Nell’odierna crescente interconnessione le separazioni nette non esistono più. E il concetto di cultura è diventato una bandiera di un vecchio e stanco “potere” che vuole tenere ferma la storia ed evitare che il mondo fluisca liberamente e pacificamente verso un futuro di umanizzazione crescente. Che per la prima volta nella storia umana è davvero alla nostra portata (in quanto l’alternativa è la guerra totale di tutti contro tutti).
Le religioni hanno accompagnato la storia dell’umanità praticamente da quando abbiamo documenti che parlano di umanità. Non sempre, ma molto spesso hanno contribuito alla macellazione che umani hanno fatto di altri umani, fornendo legittimazioni e ragioni. In questo momento — anche qui per la prima volta nella storia umana — le religioni sembrano invece contribuire a obiettivi di pacificazione e umanizzazione. A parte le sacche di terrorismo religioso — purtroppo ancora forte, ma numericamente non rilevante — tutte le religioni sembrano interessate alla pace e all’incontro tra i popoli (sì: qualcuna è più avanti, qualche altra più indietro, ma nessuna predica la “guerra santa”). La grande maggioranza dei cristiani, dei musulmani, degli ebrei, degli induisti, dei buddisti eccetera vuole vivere in pace e in pace pregare. Ci sono quelli che mettono le bombe, che sgozzano innocenti, ci sono quelli che aizzano al nemico di fede. Ma non ci sono masse di popolo che siano disposte ad armarsi per nuove crociate belliche. Lepanto per fortuna è lontana.
Il sindaco di Londra è musulmano. Nella finale di Champion League europea hanno giocato sei calciatori musulmani, peraltro in Ramadam. Sono solo due piccole segnali di quanto musulmani e cristiani convivano pacificamente in Europa.
È per questo che mi risulta personalmente difficile capire come può in buona fede un arcivescovo parlare di “cultura” che divide, che separa, che oppone gli uni agli altri. Lui che dovrebbe tenere sul proprio comodino il Vangelo, per trovare là e solo là la sua fonte di ispirazione. Del tutto incomprensibile mi risulta poi che una persona di fede autentica possa dire “prima gli…(chiunque poi che segua: italiani, polacchi, francesi, americani…)”. Dove possa trovare nel Vangelo un punto di conferma di questo “prima” mi è proprio impossibile da capire. A meno che non devo togliere il presupposto di “buona fede”; a meno che dietro le parole che in nome del Vangelo incitano alla separazione tra esseri umani, vi sia voglia di potere e non desiderio di verità. E ne verrebbe tradito non solo lo spirito di Vangelo, ma il sentimento di umanità comune. A cui tengo moltissimo. Come antropologo e come essere umano che vive oggi, non cinquecento anni fa.
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