Antropologo a domicilio n°83 (7.5.2022)

Focalizzo la mia mente sui medici e infermieri ucraini che curano indifferentemente feriti ucraini e russi, e non sulle bombe che cadono sulle città ucraine.
Mi fermo sulle migliaia di volontari che offrono lavoro, denaro, case per aiutare i profughi ucraini, e non sugli eserciti che si stanno affrontando.
E' perché rifiuto di guardare in faccia la tragedia della guerra?
No, è perché penso al futuro.
Dei figli, dei nipoti, delle nuove generazioni.
E per questo, cerco di ampliare le prospettive da cui osservare ciò che accade.
La guerra finirà, dovrà finire. A meno che non finiamo tutti in una ecatombe nucleare.
Quando la guerra finirà, lascerà l’Ucraina distrutta e con lei la Russia, l'Europa, il mondo intero a pezzi.
Ed è questo il mondo che stiamo per consegnare alle nuove generazioni.
In tale sfascio io sento il dovere di guardare a chi fascia le ferite del mondo futuro. Cioè di dare una speranza ai bambini, alle bambine, ai ragazzi, alle giovani.
È per questo che penso ai medici, penso ai volontari. Perché il mondo non è solo il male prodotto dalle scelte scellerate degli apprendisti stregoni che siedono nelle stanze del potere. Putin prima di tutti gli altri: il suo nome rimarrà nella galleria dei mostri (quasi sempre uomini) che hanno provocato crudeltà a milioni di persone.
Il mondo è anche medici che salvano vite, infermieri che soccorrono, volontari che soccorrono nelle catastrofi.
Tutto qui.
Per il resto obbligo quotidianamente la mia mente a non pretendere di avere certezze sulla guerra in corso (a parte il fatto che un esercito ha invaso un paese libero e sovrano).
E mi dico di non discutere con coloro che dibattono su questa guerra allo stesso modo in cui s’accapigliano su una partita di calcio. Poiché fanno chiacchiere da bar, contrabbandando emozioni da tifosi come presunti argomenti razionali.
Né mi aspetto dalla scienza (geopolitica, storia, economia) ciò che essa non può offrire. Poiché la scienza offre probabilità, non quelle granitiche certezze che quasi tutti gli esperti di questo o quest’altro settore oggi presentano nei talk televisivi o sulle pagine dei giornali.
Come se la previsione probabilistica potesse essere profezia divina.
O come se lo studio del passato portasse alla scoperta della "verità". Nessuna conoscenza scientifica può pretenderlo, e chi dagli schemi televisivi o dalle pagine dei giornali ci dice che le cose sono così e colì e basta, semplicemente sta proclamando una verità di fede (la sua) come se fosse un risultato scientifico. Vedo pochi esperti – o presi per tali – che abbiano l’umiltà di dichiarare che le loro opinioni si fondano su presunzioni e probabilità, non certezze incontrovertibili.
In particolare che siano così onesti con chi li ascolta da dire che non si possa escludere un esito di guerra nucleare. Cioè che questa rimanga come un orizzonte possibile di uscita catastrofica dalla guerra in Ucraina (nessuno vuole la guerra atomica. Ma quasi sempre nella storia i grandi eventi sono stati il risultato non intenzionale di azioni intenzionalmente dirette ad altro: valga per tutti l’esempio della I guerra mondiale).
È per fede e non per scienza sostenere che una fine atomica non verrà.

Ma io stesso voglio ammantarmi di questa fede (e non scienza). E attivare una speranza che il mondo futuro sarà vivificato dagli esempi dei medici, degli infermieri, dei volontari (e da leader religiosi come Francesco e non come Kirill) e non continuerà a essere mortificato dagli apprendisti stregoni.
Fede e speranza. Già: senza accorgermene ho preso in prestito dal cristianesimo le sue virtù teologali.
Ma allora c'è poi la carità, che come diceva san Paolo, è la più grande di tutte.
Per questo insisto sull’elogio della mitezza. Chi come noi è qui, vive lontano dalle trincee della guerra, ha l’obbligo di essere mite. L’obbligo. Non abbiamo davanti a noi un nemico da battere, ma un essere umano che non condivide le vostre idee. E nessuno può pretendere di avere idee incontrovertibilmente corrispondenti alla “verità”. Abbiamo l’obbligo di non essere aggressivi, offensivi, violenti contro chi non la pensa come noi, poiché la mitezza è un atteggiamento che guarda al futuro. È in questo modo che facciamo la nostra parte affinché trionfi la pace. Dobbiamo uscire dal contagio bellico: là combattono, qua ci scontriamo, incorporando il virus della violenza. C’è, ci deve essere speranza per l’umano. Perché è di questo che oggi si tratta: speranza per un futuro umano. E se la catastrofe sta venendo dalla violenza, non possiamo pensare di salvarcene aggiungendo violenza.
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