
Antropologo a domicilio n°65 8.11.2020
E se provassimo ad oltrepassare la pandemia? A farci qualche domanda sul giorno dopo? Cosa ci sta mostrando il Covid-19? Che sarà quasi impossibile salvare la Terra da una catastrofe ambientale finale. Implicitamente ma molto chiaramente è ciò che ci sta mostrando. In queste settimane siamo chiamati a sacrifici durissimi. Ma sono quasi niente a confronto con quelli che dovremmo imparare ad affrontare per salvare la Terra. Dunque la pandemia sta illustrando in piccolo quale potrebbe essere il futuro cammino dell’umanità per l’inferno.
A meno che non cambi — e anche radicalmente — il nostro modo di pensare e di vivere. Non è più il tempo in cui si possa pretendere che la libertà sia quella di consumare, peggio, di sprecare (“libertà, libertà!”, urlavano qualche giorno fa manifestanti in molte città italiane. Libertà di uscire di casa, andare a prendere l’aperitivo in centro, e in sovrappiù non mettere la mascherina e tutto il resto). Non possiamo più continuare in una forma di vita i cui orizzonti individuali e collettivi sono l’aumento dei consumi come indicatore di sviluppo. Perché è ciò che collettivamente facciamo: viviamo per consumare. Anzi sprecare. Ma vale ancora più per gli Stati. Non si può continuare a pensare che l’indicatore dello sviluppo di un paese sia il PIL a qualunque costo. Dal punto di vista del PIL, l’immensa pattumiera che sta diventando il mondo ha il vantaggio di accrescere gli indici economici. Anche se ha lo svantaggio di aumentare il degrado ambientale
Questa pandemia è un esperimento il cui risultato sarà una spia dell’esito della ben più difficile sfida della sopravvivenza della Terra. Perché il coronavirus alla fine sarà sconfitto con un vaccino, questo è certo. Invece non c’è e non ci sarà mai un vaccino per salvare la Terra. Le lamentele generalizzate per i pochi mesi che abbiamo alle spalle e i pochi mesi ancora davanti di restrizioni e attenzioni, sono un segnale minaccioso per prevedere cosa succederà nel futuro, ormai immediato, quando noi tutti, e soprattutto dopo di noi i nostri figli e nipoti, dovremo e dovranno imparare a vivere in un mondo che noi abbiamo degradato e non riusciamo a smettere di degradare. L’obbligo della mascherina, del distanziamento, la rinuncia a certi consueti comportamenti sociali per qualche mese, che a molti sembrano insopportabili soprusi e inauditi attacchi alla libertà, si riveleranno bazzecole di fronte alla inevitabile futura rinuncia all’intero nostro attuale modello di vita dissipatore dell’ambiente, a un’abitudine al consumo smodato di tutto, all’orgia dell’usa e getta, allo spreco come motore di crescita, al PIL come indicatore di “sviluppo”. Dovremo capire che forse la movida non è l’unica forma di socializzazione possibile. Dovremo capire che forse un turismo aggressivo e consumistico non è il meglio per conservare il conservabile alle future generazioni. Dovremo capire che forse l’obsolescenza rapida degli oggetti di consumo ingrassa le discariche e i portafogli delle multinazionali e avvilisce la Terra. Dovremo capire forse tante cose. E agire di conseguenza.
Ma torniamo alla pandemia.
Tutti oggi ne siamo coinvolti. Tutti soffriamo. Ma non allo stesso livello. C’è chi è malato grave, chi ha perso parenti. Drammi, tragedie. E sono un numero consistente. E c’è poi chi ha perso il lavoro o lo sta perdendo, chi sta fallendo, perché l’economia in ginocchio schiaccia quelli che già normalmente vivacchiano, galleggiano, sopravvivono. Se una colpa può essere data ai politici (tra tante che vengono loro imputate, a volte a torto) è quella di non essere allo stesso modo solleciti nel chiudere tutto e nel soccorrere chi paga per questa chiusura. Non è di un aiuto striminzito tra tre settimane, un mese, due che ha bisogno chi è colpito dalla crisi economica, ma di un soccorso oggi, subito. Non sono stati sufficientemente attenti, i politici. Forse perché è difficile per chi vive comodamente capire fino in fondo chi le comodità le sta perdendo o le ha già perse. C’è paura per la rivolta sociale, non empatia per chi soffre.
E questo è un altro segnale grave, gravissimo. Poiché per salvare la Terra occorreranno in futuro giganteschi processi di riconversione produttiva. Esistono interi settori economici che per produrre distruggono ambiente. E non sarà più possibile, se davvero vogliamo salvarlo questo nostro pianeta. I necessari processi di riconversione metteranno a rischio o peggio elimineranno interi comparti lavorativi. E allora come sarà possibile spingere sulla strada milioni di famiglie? Occorrerà che la politica sia estremamente sollecita nel favorire i processi di riconversione e aiutare i lavoratori a entrare nei nuovi sistemi produttivi ecologicamente compatibili. E invece…
Prendo un esempio da noi lontano. Qualche giorno prima del voto, Biden è scivolato sulla buccia di banana dell’industria petrolifera. Sì, perché ha indicato cambiamenti (neppure tanto radicali) in quel settore, e Trump immediatamente ha afferrato al volo l’occasione dicendo agli addetti: “vedete? Se votate quest’uomo vi butterà in strada”. Che l’industria petrolifera sia una delle cause del degrado ambientale e che debba prima o poi riconvertirsi o trovare metodi non inquinanti è chiaro a tutti. Ma come togliere lavoro a milioni di persone? Non sarà immaginabile se non in presenza di serie e tempestive alternative. E possibile? Sì, dicono gli scienziati e aggiungono gli economisti. Anche perché è necessario. Ma questo è il punto: sarà la politica, saranno i politici all’altezza dei compiti immani che si presenteranno domani? Capiranno che calcolare un vantaggio di consenso a breve è la strada più sicura per l’autodistruzione collettiva futura? Questa pandemia è davvero una prova generale. E i segnali per ora non sono positivi.
La mia utopia? Un paese, anzi un pianeta, in cui i politici dicano sinceramente ai cittadini che questo va cambiato, quest’altro non si può più fare e quello si deve fare. Per salvare il pianeta. E poi forniscano aiuti a chi dovrà rinunciare a qualcosa per questi cambiamenti. E infine chiedano a chi invece non avrà svantaggi, di essere concretamente solidale con chi ne sarà vittima. E’ proprio un’utopia, vero?