I potenti e i potenticchi della terra (faccio fatica a fare qualche sparuta eccezione) si sono affannati a recitare la più ipocrita rappresentazione teatral-politica che si ricordi, intorno alle spoglie di papa Francesco. Mentre le donne, gli uomini, i bambini, noi, voi, tutti gente comune, hanno invece vissuto il lutto di un padre. Che era insieme anche una madre. Quello di sabato scorso verrà ricordato come il più lucido racconto del mondo di oggi. Non l’unico, uno dei tanti possibili, ma un racconto “vero”.
Da una parte il potere che non riesce oggi a nascondere le sue ignominie, avendo ormai da tempo dismesso le sue virtù. Dall’altra la gente comune che riconosce chi è stato davvero fratello, padre, chi non aveva sepolcri imbiancati da nascondere, poiché era fatto di nuda umanità senza orpelli.
 
Oggi sappiamo che gli ipocriti non hanno freni, quando recitano in una scena tra altri ipocriti che sfoggiano ipocrisie quanto più spavalde siano. Come in una gara di rutti in cui vince chi lo fa più forte e prolungato.
 
E sappiamo pure che non è vero che queste ipocrisie rimangano velate agli occhi ingenui della gente comune. Questa sa chi vale e chi invece è fasullo. Lo dimostra l’umile, silenzioso, lunghissimo, instancabile omaggio della gente comune al papa morto. Lo mostra l’accoglienza al santuario degli ultimi che lui, il papa morto, prima di morire aveva deciso concludesse il rito alla sua morte. Forse perché risaltasse con più veemenza la distanza tra la recita ipocrita e il racconto dell’umanità derelitta. Della quale ultima Francesco si era preoccupato più di tutto in vita. Poiché era portatore di una idea secondo la quale il Vangelo è di quelli. Ed è di tutti gli altri che si assiepavano lungo la strada dal Vaticano a Santa Maria Maggiore, la gente comune.
 
La parola di Francesco, nuda, netta, evangelica, richiamava ogni volta a uno sguardo vero sul mondo. Precisa, senza diplomazie sull’essenziale, diretta al cuore dei problemi, ci ricordava con forza che non c’è pace con le armi, che non c’è fratellanza senza reale solidarietà, che non c’è amore se si alzano muri di divisione tra chi è amato e chi resta escluso. I migranti, i carcerati, i transessuali di strada, i dimenticati dal mondo, i bambini e le donne bombardati, i malati e l’elenco sarebbe lungo: questi erano gli esseri umani che invitava a mettere al centro dell’attenzione. Guardate a questi, lui ci diceva, guardate a questi e chiedetevi se si può essere davvero umani se li si dimentica, esclude, maltratta, uccide. Lo diceva a tutti, atei e credenti.
 
E a questi ultimi aggiungeva, ascoltate la parola evangelica di Gesù, e se davvero l’ascoltate qualcosa dovrà cambiare in voi e nel mondo, se davvero vi richiamate al Vangelo non potrete essere d’accordo con chi si arma, con chi alza muri, con chi respinge, con chi uccide. Francesco ha mostrato che la vera evangelizzazione è applicare la parola del Vangelo: a chi distingueva i nostri dai loro chiedeva di meditare sulla parabola del buon samaritano, che è l’opposto di ogni esclusione. Le sue parole risuonavano nella coscienza di milioni di persone nel mondo, che venivano richiamate a essere coerenti con la propria umanità (per i non credenti) e alla loro fede (per i credenti): qualunque fede, perché non può esserci un Dio di odio.
 
Può aver avuto limiti questo papa, come tutti, ma con non si può usare il bilancino. La sua voce era la voce dell’umano. Ora che tace, siamo tutti orfani di noi stessi.
Back to Top