Antropologo a domicilio n°43 (19.9.2018)

Ma cos’è la “percezione di sicurezza” e che rapporto ha con la “sicurezza”?
In un certo senso, la stessa che c’è tra magia e realtà. L’antropologia può darci una mano a capire. 
Una volta si pensava che la magia fosse una specie di scienza inesatta basata su un insieme di errori di comprensione del mondo, e che essa rivelò la sua inconsistenza quando entrò in campo la scienza, la quale cancellò i suoi errori. In realtà le cose sono molto più complesse.
La magia non aveva lo scopo di conoscere la realtà, ma quello di abitare la realtà. Cioè: gli esseri umani si sono sempre dati (e continuano a farlo) strumenti per vivere il meglio possibile nella società e nel proprio ambiente ecologico. Tra questi la conoscenza scientifica. Ma anche altri: l’arte per esempio. E la magia. Strumenti per vivere. La magia era soprattutto uno strumento per vivere il meglio possibile. Si basava su -primo- una pratica (un insieme di azioni) e -secondo- una credenza (un insieme di idee sulla realtà). La prima alimentava ed era alimentata dalla seconda. Facciamo un esempio: c’era un’idea condivisa da tutti che il male (la malattia, la disgrazia…) avesse origine nelle azioni malvagie dei nemici (anche per altro, ma qui prendiamo in considerazione solo questa idea). Ebbene, quando arrivava un male, veniva confermata la credenza. Si stabiliva infatti una correlazione tra l’esistenza di nemici e l’arrivo del male: se c’era un male, era perché l’avevano inviato nemici (invidia, malocchio, fattura…); e se c’erano nemici, dovevi aspettarti prima o poi un male. Una “costatazione” confermava l’altra e viceversa.
Sbagliato — diciamo noi — che c’entra per esempio un virus con un vicino di casa ostile? Eppure, in un certo senso, non era sempre sbagliato mettere in correlazione le due cose. Sappiamo che la qualità della vita interviene nella capacità del corpo di difendersi dagli attacchi patogeni interni ed esterni, e dunque una vita sociale più “sana” produce effetti positivi anche sulla sanità del corpo. 
Al di là però della efficacia della credenza magica ad avvicinarsi alla realtà (scientificamente spiegabile), ciò che conta è che essa non si limitava a spiegare le cause del male, ma forniva anche una pratica di contro-magia che avrebbe assicurato la difesa: contro il malocchio lo scongiuro, contro la fattura la controfattura, contro le entità negative quelle positive. Così il mondo nella sua vivibilità quotidiana era a posto, non c’era un disordine incomprensibile e ingestibile di vicende e di eventi nella vita umana, ma ogni avvenimento aveva il suo posto in una ordinata comprensione del mondo e — ciò che aveva più importanza — poteva essere messo in una certa misura sotto controllo. Cioè non si era del tutto impotenti in una realtà caotica, ma si poteva abitare in essa controllandola e manipolandola. E gli insuccessi? gli scacchi inevitabili della vita? Beh, perché qualcosa non era stata “fatta” bene, una pratica sbagliata, uno scongiuro mancato, un tabù infranto, un errore magari altrui: la realtà magica non era smentita dalla vita concreta, poiché questa era immersa in quella; senza lo strumento pratico-teorico della magia la realtà stessa sarebbe stata invivibile, ogni suo fondamento crollato, puro caos. In un certo senso dunque la magia era la realtà. Negare l’una significava negare l’altra.
Errori? Dalla nostra prospettiva “scientifica” potremmo dire di sì, ma in realtà per secoli, per chi viveva questa condizione (e tuttora vive), quella forma di vita non era basata su errori ma su una salda ed efficace pratica per resistere al male e vivere. Il meglio possibile.
Cosa ha a che fare tutto ciò con la “percezione di sicurezza” e con il suo rapporto con la “sicurezza”? La magia è una buona metafora per ragionare su questi temi.
L’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) da qualche anno certifica che la “sicurezza” cresce. Con un certo andamento altalenante, la tendenza generale del numero dei delitti denunciati dalle forze di polizia all’autorità giudiziaria è in diminuzione. Ci sono picchi di crescita in certi anni, secondo il tipo di delitto, ma in generale si va giù (confermando l’analoga tendenza di scala europea). Non entro nel dettaglio, i numeri sono a disposizioni di chi li cerca in Rete. 
Ma contemporaneamente l’ISTAT accerta pure che la “percezione di sicurezza” tra gli italiani non cresce, al contrario diminuisce (o si mantiene più o meno stabile su numeri bassi).
Proviamo a sganciare la “sicurezza” dalla “percezione di sicurezza”, come abbiano fatto tra “realtà” (com’è vista dal pensiero scientifico) e “magia”. Mentre la prima è un “dato”, la seconda è, appunto, una “percezione”. In verità qualcosa più di una semplice “percezione”: essa è parte di un complesso sistema pratico-teorico (come la magia: pratica e credenze) per vivere il meglio possibile. 
Approfondiamo l’analogia con la magia. 
La magia si fondava in parte (piccola) su esperienze personali, in parte (molto grande) su testimonianze altrui (in una parola, sui racconti di esperienze magiche). 
E ora proviamo a cambiare il soggetto della proposizione e mettiamo il verbo al presente. Ne viene:
la “percezione di sicurezza” si fonda in parte (piccola) su esperienze personali, in parte (molto grande) su testimonianze altrui (in una parola, sui racconti di esperienze di danno alla sicurezza).
Quanti italiani hanno subito negli ultimi anni attentati alla propria “sicurezza”? Meno che in passato, dicono gli indicatori statistici.
Per esempio tra il 2014 e il 2017 gli omicidi sono andati giù del 25,3%, i furti del 20,4%, le rapine del 23,4% [1]
E la “percezione di sicurezza”? Va al contrario. Senza entrare nel dettaglio dei numeri, basti solo questo: per il 2015–2016 scrive l’ISTAT: “Molti sono i cittadini preoccupati di poter subire un furto nell’abitazione (60,2%), uno scippo o un borseggio (41,9%), di essere vittima di un’aggressione o una rapina (40,5%), di subire il furto dell’auto (37%).
L’antropologia può aiutarci a capire questa curiosa divergenza? Penso proprio di sì. Come per la magia, così per la “percezione di sicurezza”, abbiamo a che fare con un sistema di pratiche e di credenze che sono uno strumento per vivere il meglio possibile. Per abitare la realtà. Cioè controllarla, persino dominarla. Ovviamente quella alimentata dalle credenze e manipolata con le pratiche (cioè le azioni che si fanno e i comportamenti che si adottano). L’ISTAT [2] ci dice che : “il 72,1% delle famiglie ha almeno un sistema di sicurezza per l’abitazione e il 55,7% adotta qualche modalità di difesa (lascia le luci accese quando esce, chiede ai vicini di controllare, ecc.)”. Questo “ecc.” sta anche per: armi in casa in aumento. E per: voto elettorale a certi partiti. Nel sistema pratico-teorico della “percezione di in-sicurezza”, lasciare le luci accese, comprare un’arma, votare un certo partito, ecc. corrispondono agli scongiuri magici contro i “nemici”, o i “vicini di casa ostili”.
A decidere poi chi siano i “nemici” vi sono le credenze diffuse: gli stranieri; gli slavi; gli zingari; i rumeni; gli africani. Non entro in dettaglio, sono credenze note a tutti. 
Qualcuno si chiederà: forse che non c’è nessuna correlazione tra costoro e la sicurezza? Certo che c’è. Gli stranieri delinquono come gli italiani. Ma i “dati” sono anche qui lontani dalle credenze. Diceva nel 2016 il capo della Polizia Franco Gabrielli in un’intervista alla Stampa: “I numeri parlano chiaro: non c’è stato alcun incremento di reati rispetto all’aumento della presenza di immigrati” [3]. Dunque i numeri non giustificano la credenza che gli stranieri siano più delinquenti degli italiani. Per la magia c’era una correlazione tra vicini malevoli e malattie: più si percepiva minacciosa la presenza dei vicini (o dei nemici dichiarati), più si confermava la credenza che essi fossero causa dei propri mali. Così per la “percezione di sicurezza”: più si percepisce la presenza di stranieri, più si alimentano le credenze che circolano sul loro conto e più dunque si rafforza la “percezione di in-sicurezza”. Però come per la magia, anche qui i dati reali si pongono su un altro versante dalle credenze.
C’è un punto dell’analogia che ho indicato (con una punta di ironia) tra magia e “percezione di sicurezza”, che va messo in luce. Dicevo: “La magia (e dunque la percezione di sicurezza) si fondava su esperienze personali (in parte) e su testimonianze altrui: in una parola, racconti.” Ecco il punto: i racconti. L’universo narrativo del nostro paese è dominato da qualche anno da racconti sulla criminalità, furti, rapine, omicidi, eccetera. È uno dei capisaldi dei media (TV, giornali) e dei social media (Facebook, Twitter, eccetera). Con un’efficacia crescente man mano che le narrazioni di questo tipo trovano audience, il nostro universo culturale è stato colonizzato dalle narrazioni sulla insicurezza, e queste hanno generato un terribile mostro contemporaneo: la paura. 
Chi ne ha perso? Chi ne ha guadagnato? Ne hanno perso i cittadini, cioè noi, gente comune. Ne hanno guadagnato in tanti: aziende dedicate alla sicurezza, pubblicità, media, politici. Su questi ultimi, lasciatemi concludere con la frase dell’antropologo Scott Atran: “Chi fa politica non è generalmente interessato alla verità. La verità è secondaria. I politici sono interessati alla persuasione e alla vittoria.
(Immagino che leggendomi alcuni non saranno d’accordo. Me lo aspetto. Come per la magia, non è che un semplice ragionamento elimini le credenze, le quali sono innestate nella vita stessa che si vive. Però una precisazione. Qui non ho ragionato sulla “sicurezza”, ma sulla sua “percezione”. Che è un’altra cosa. In altre parole non sto affermando che non esistono attentati alla sicurezza; ci sono, soprattutto in certi luoghi, come quartieri a rischio, periferie degradate, ghetti “etnici” (là sta la maggior parte delle persone che hanno avuto esperienze personali di danni alla sicurezza). Sto sostenendo che il loro numero non è in proporzione con la paura della maggioranza degli italiani di subirle. 
E, per dirla con una teoria antropologica di una volta - quella evoluzionistica - sarebbe bello che nella nostra “civiltà” scientifica (ci sentiamo orgogliosi di viverci, no? quando pensiamo a chi ne è fuori e magari lo giudichiamo negativamente) sarebbe dunque bello che prima o poi la “scienza” dissolva le nebbie magiche, in modo da fornire un migliore strumento per vivere una vita sociale decente. E affrontare razionalmente anche i problemi della sicurezza.
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