
Antropologo a domicilio n°49 (8.5.2019)
Mettiamo che io sia un ragazzo di vent’anni che abbia avuto un figlio con una ragazza mia coetanea e che insieme cerchiamo una casa dove far crescere nostro figlio. E che non vivo in una società dei diritti, ma in un degradato quartiere periferico dei soprusi (ai quali mi sono abituato a dare il mio “contributo”). Mettiamo allora che vengo a sapere che in quel palazzo all’angolo c’è un appartamento vuoto che il Comune deve assegnare da anni, e che c’è una graduatoria per l’assegnazione. E mettiamo pure che mi dicano quello che già so, e cioè che poi, quando mai sarà, la casa l’assegneranno agli “amici degli amici”. Io che faccio? La vado a occupare. E se dopo mi dicono che la casa ora è stata assegnata secondo la graduatoria, e che sta per venire una famiglia che deve abitarla, e che questa famiglia è rom, io che dico? Che i rom non sono come noi, logico, no? lo dicono tutti e ora lo dico anche io, no? sono razzista? Ma io voglio la casa, questo voglio.
E se non vi basta, allora mettiamo che io sono un’altra persona, questa volta ho cinquant’anni, vivo con la famiglia, moglie e figli, in un quartiere periferico di una grande città, in cui siamo così affollati da essere schiacciati uno addosso all’altro, in cui i servizi pubblici è come se non ci fossero, funzionano poco e male e a volte niente proprio, e nelle nostre case per anni ci sono state infiltrazioni di acqua sporca, e nessun provvedimento è stato preso per eliminarle; mettiamo poi che tutte le volte che dovevano portare da qualche parte questi poveracci di migranti africani, li portavano qui, mica al centro, e che un bel giorno ci hanno detto che ora non sarebbero venuti altri neri, ma i rom. I rom? Cioè io chiedo: ma chi? Quelli che i politici in televisione dicono che devono essere cacciati, e che i loro accampamenti devono essere distrutti con le ruspe perché non sono come noi? E ora vengono qui da noi? Ma non se ne parla proprio. E poi mettiamo che a mia sorella madre single con figli piccoli l’hanno sfrattata. E ora il Comune dà la casa ai rom? Ma io brucio tutto qua. E voi mi dite che sono razzista? Ma veniteci voi a vivere qua. Veniteci voi ad aspettare da decenni che qualche cosa cambi in meglio non in peggio, perché in peggio cambia tutti i giorni e noi viviamo nell’inferno. C’è tanta di quella droga qui, che noi la respiriamo, che la beviamo con l’acqua, c’è tanta disoccupazione e povertà e disperazione e rabbia e odio che qui non si riesce più a vivere se non odiando. E di noi i politici si ricordano solo alle elezioni e se ne dimenticano il giorno dopo. E lo hanno fatto tutti, ma proprio tutti, destra e sinistra, non hanno mai pensato alle periferie, al centro sì, che devono metterlo in mostra per i turisti, e a noi nelle periferie meglio nasconderci, e lasciarci nella nostra vita misera di bollette e tasse scolastiche, di code eterne per visite mediche e di bus che saltano la corsa. E di figli che prendono strade sbagliate. Ora se io brucio tutto perché non voglio i rom, che dite che sono razzista? davvero? e allora veniteci voi a vivere qui.
Io penso — e questa volta parlo da antropologo a domicilio — che il più grave delitto della politica italiana sia stato produrre (o lasciare che si producesse) una società in cui i senzaniente (senza soddisfacenti livelli di vita, senza lavoro, senza giustizia sociale, senza gratificazioni personali, senza dignitosi servizi sociali e sanitari, senza servizi culturali, e senza un mucchio di altre cose) siano scivolati in una condizione di vita così misera da rendere inutili per loro le conquiste di democrazia e diritti delle generazioni precedenti; da essere spinti a entrare in una guerra sociale in cui tutti combattono contro tutti. E in particolare i penultimi contro gli ultimi. Per qualche giorno, quando esplode una protesta, i media e i politici che abitano i loro salotti, parlano dei rom, dei migranti, dei poveri, delle periferie. Ma non per dare strumenti di comprensione della loro difficile realtà, indicazioni realistiche di impegno e di lotta per un miglioramento, e orientamenti per comprendere che i loro nemici non sono i senzaniente come loro, ma sono altri, e devono cercarli altrove. Non fanno questo perché sarebbe difficile e poco produttivo per l’audience e per il consenso; e poi perché può indebolire i privilegi sociali di chi ce li ha. No, i media e la politica accendono le luci e fanno spettacolo. Poi, spente le luci — come oggi, nel momento in cui scrivo, e domani e dopodomani — la guerra di tutti contro tutti riprende in sordina, perché essa è quotidiana, è sotto traccia, è viscerale, e genera odio, odio sociale, odio per se stessi, odio per la propria famiglia, odio per la vita stessa (e i fascisti ingrassano, perchè soffiano sul fuoco della protesta sociale cieca)