Antropologo a domicilio n°47 (1.3.2019)

Negli anni Settanta uno psicologo ed etologo americano, Gherson Berkson, decise di studiare l’empatia tra le scimmie macaco. Prese dei cuccioli e li accecòsì, li accecòpoi si mise a studiare le reazioni degli adulti nei loro confronti (lo ricorda l’etologo Frans De Waal, “Naturalmente buoni”, Garzanti 2011, pp. 71 e 288). Indipendentemente dallo scopo specifico dello studio, i cui risultati dovevano avere effetti positivi per gli studi umani, il meccanismo “teorico” che animò la sua ricerca scientifica era come un cane che si mordeva tragicamente la coda: voglio studiare l’empatia delle scimmie macaco in quanto esse sono piuttosto vicine agli esseri umani, e per dimostrarlo faccio soffrire fisicamente alcune di loro in modo che venga fuori che esse soffrono empaticamente come noi. Assurdo, oltre che terrificante.
L’”esperimento” che il maestro di Foligno ha messo in campo sul bambino nigerianoperché questo termine ha usato il maestro nella sua difesa: volevo fare un esperimentomettendolo in ridicolo davanti ai suoi compagni per il colore della sua pelle è una assurda e terrificante giravolta ideologica simile a quella di Berkson: per mostrare l’assurdità del razzismo io attuo una pratica razzista con tanto di vittime (le scimmie accecate equivalgono al bambino nigeriano ridicolizzato: con l’aggravante che quest’ultimo è un essere umano).
Ma c’è un altro elemento che accomuna i due “esperimenti”. Entrambi si reggono su un “lavoro teorico”per così direpreliminare: le vittime prescelte vengono abbassate nel loro status di umanità, cioè retrocessi ad uno stato sottoumano. In verità, nel caso delletologo questo era già nei fatti: le scimmie hanno uno status sottoumano, sono scimmie, non umani! (Anche se fioriscono dibattiti filosofici sulla inadeguatezza ormai delle gerarchie antropocentriche.) Nel caso del maestro di Foligno invece l’operazione è stata più complessa e più drammatica: posso fare su di voi un esperimento perché non vi considero alla pari con noi, cioè come meumanoche faccio lesperimento, e con loro, gli altri ragazziumaniche ne raccolgono i risultati. Non lo farei sui miei figli, ovviamente, che considero umani come me. E neppure sul resto della classe, a cui al contrario voglio dare i risultati dell’esperimento. Più o meno consapevolmente per me, voi avete uno status inferiore a noi: siete sottoumani”. Gli esperimenti di Mengele ad Auschwitz sui bambini ebrei si basavano sullo stesso “lavoro teorico”: non siete umani come me, come noi ariani (Homuncoli venivano chiamati gli indiani americani ai tempi di Colombo. Sono passati 500 anni e stiamo ancora fermi a queste cose!).
Questo abbassamento di status di umanità è alla base di tutti i razzismi storici, in particolare e in maniera esemplare del razzismo antisemita dei nazisti. Gli studiosi sono concordi nel ritenere che per rendere gli “altri” oggetto di violenza razzista, la via più semplicequella che abbatte la famosa empatiasia ridimensionare preliminarmente la loro umanità.
Stiamo vivendo in Italiae non solo in Italiauna fase di mentalità collettiva che opera abbassamentiper alcuni inconsapevolidi status di umanità a danno di alcuni gruppi sociali: la facilità con cui si sta diffondendo in Italia un razzismo basato sul colore della pelleperché così bisogna chiamarlo: razzismoimplica tale abbassamento. Il maestro di Foligno non è il mostro che ora semplicisticamente possiamo figurarci, per dire magari: “ecco, LUI ha sbagliato, NOI siamo a posto”. No, perché quell’insegnante ha compiuto l’abominio di cui si discute in un contesto collettivo in cui l’abbassamento di umanità sta diventando abominevole pratica collettiva. Implicita ed esplicita. Inconsapevole e consapevole.
E questo abbassamento deriva direttamente dalla propaganda politica che porta alla cancellazione dell’affermazione basilare di ogni umanesimo, e cioè che siamo tutti esseri umani di pari dignità. Tutti, indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica e da tutto il resto che per quanto ci possa differenziare, non arriva mai a toccare l’unità di fondo della specie umana: le differenze di colore della pelle, di religione, di genere, di “etnia” non sono differenze di umanità, perchè lo statuto di umanità è comune a tutti gli esseri umani.
Allora in maniera netta occorre affermare che una espressione del tipo: “prima gli italiani” è già proto-razzista (proto, cioè che viene immediatamente prima). Magari inconsapevolmente, ma lo è. Magari implicitamente, ma lo è. Magari come anticamera, ma lo è. Lo slogan “prima gli italiani” può portare prima o poi a un razzismo consapevole, perché rende automatico un meccanismo mentale inconsapevole che abbassa lo status di umanità dei non italiani. Una volta che tale meccanismo si è formato, esso potrà essere adattato per ogni ulteriore evenienza, fino alla dichiarazione più esplicita di razzismo.
Apparentemente dichiarare che gli italiani vengono prima degli altri sembra un’affermazione che ha o vuole avere implicazioni di natura economica, politica, assistenziale, organizzativa (prima i soldi ai terremotati, prima le case agli italiani, eccetera). In realtà implicitamente dichiara che nello spazio pubblico del nostro paese non tutti gli esseri umani sono uguali: ce ne sono alcuni pienamente umani e altri sottoumani. Implicitamente per ora, in attesa che diventi esplicito. E noi non possiamo tacere.
Back to Top