Antropologo a domicilio n°100 (24.6.2024)
Tutti sanno, o dovrebbero sapere, che la realtà è complessa. E che nessuno può pretendere di definirla per intero dal suo punto di vista. A meno che non si autonomini Dio, che con un solo sguardo la comprende tutta.
Bisogna dunque rassegnarsi al fatto che qualunque punto di vista, in particolare sulla realtà umana, (politico, economico, religioso, scientifico) è parziale, è solo un punto di vista.
Certo, per avvicinarsi il più possibile alla complessità del reale ci si può spostare da un punto di vista all’altro, ma alla fine ce ne sarà uno che prevale sugli altri.
Se penso all’ennesimo naufragio di migranti di qualche giorno fa nel Mediterraneo il mio punto di vista principale guarda alle vittime. Le altre prospettive per me vengono dopo. Non mi faccio convincere da quella politica (nessuno può entrare in uno stato sovrano se non è autorizzato) o economica (non possiamo accoglierli tutti) o terroristico-religiosa (attenzione all’islamismo che si intrufola tra i migranti) o da qualunque altra prospettiva: io guardo alle vittime. Questa è la mia prospettiva, il mio punto di vista. Parziale, per carità, che non afferra tutta la realtà delle migrazioni, ma è il mio punto di vista. E lo difendo.
E non ascolterò le campane di qualunque altro punto di vista che mette davanti altre considerazioni.
Ho il diritto come tutti di difendere il mio punto di vista e a chi mi accusa di non guardare la complessità della “realtà”, io rispondo: neppure tu, poiché alla realtà ci si può avvicinare dal mio come dal tuo punto di vista. E se qualche altro mi accusa di miopia poiché non guardo a questo o quest’altro problema, io gli giro l’accusa: e tu non guardi alle vittime.
E dirò lo stesso se mi risponde: “io guardo alle vittime, ma…”, perché il “ma” serve a far prevalere un altro punto di vista, che sorvola sulle vittime, le mette dopo altre considerazioni. Sono quasi 30.000 negli ultimi dieci anni: quante ancora, perché diventino la questione principale?
E se la discussione con chi mi fa obiezioni va avanti, allora tiro fuori un altro argomento: tu sei vittima di un meccanismo disumano che ti ha imprigionato. Disumano non perché non attento alle vittime (magari anche per questo), ma perché poco creativo.
Disumano perché poco creativo. Dalle origini ai giorni nostri l’umanità ha dato ampie prove di creatività per risolvere i suoi problemi. Soprattutto quando attraversava una crisi. Oggi sembra che sia scomparsa questa risorsa. Siamo stretti in una prigione definita dalle regole economico-finanziarie che dettano legge a tutto il resto: politica, religione, scienza, vita quotidiana. E soprattutto dettano legge alla solidarietà, che è considerata possibile solo se rispetta le regole economico-finanziarie. Questa prigione nella quale ci troviamo non è imposta da una qualche necessità “naturale” o “divina”, non è imposta dalla “realtà”, ma è una trappola nella quale ci troviamo poiché abbiamo rinunciato alla dote più importante dell’umanità, quella che le consentì decine anzi centinaia di migliaia di anni fa di emergere come la specie dominante sulla faccia della terra: la creatività.
Se non si riesce a rendere il nostro mondo più giusto non è perché non c’è alternativa, ma perché abbiamo rinunciato a cercarla.