
Antropologo a domicilio n°80 (8.3.2022)
“Putin is not mad, is bad”, dice lo storico scozzese Niall Ferguson: Putin non è matto è malvagio.
Lo prendo per buono e mi faccio una domanda banale, banalissima, come di chi non conosca niente della storia di tutti i tempi e di tutti i popoli: ma com’è possibile che al vertice di uno stato moderno di 140 milioni di persone sieda un uomo malvagio? E non è l’unico in verità. Di malvagità contemporanee se ne potrebbero raccontare tante. E poiché ne dimenticherei qualcuna preferisco non citarle. E di malvagità del passato? La storia umana è piena di uomini malvagi al potere.
Uomini.
Io ora penso alle donne stuprate di questa nuova guerra. Sono all’opposto degli uomini malvagi. Cosa fanno questi ultimi?
Portano un po’ più avanti il mondo intero sulla strada del male.
E le donne stuprate?
Fanno il contrario. Portano un po’ più avanti il mondo intero sulla strada del bene.
Devo spiegarmi, altrimenti sarò frainteso: la mia è una riflessione “paradossale”.
Guardiamo al presente, ma guardiamo anche indietro, al passato. Quante donne hanno subito – subirono – l’affronto della violenza da parte di soldataglie vincitrici? Io penso non migliaia, ma milioni. Provo a mettermi nella prospettiva di una donna stuprata come vittima di guerra. È un tentativo, so bene di esserne lontanissimo. Mi serve per portare avanti il ragionamento.
Ha in sé una nuova vita. Che viene dalla violenza subita, che viene dallo sfregio del sudicio nemico. Molte non hanno retto, hanno maledetto, persino interdetto la nuova nascita. O messo fine alla propria vita. Ma io credo la maggioranza invece ha resistito. E mese dopo mese ha dato ascolto alla nuova vita crescente in sé piuttosto che all’odio. Magari senza abbandonarlo del tutto, ma mettendolo in secondo piano. E poi ha messo al mondo bambini figli della violenza di guerra. Che una volta al mondo hanno reclamato il diritto di ogni nuova vita. Che è l’immensa spinta all’energia di primavera, al sole, alla luce, ai colori. All’allegria, alla gioia di vivere, all’acuta curiosità del venire al mondo, alla voglia smodata di starci. Che cosa ne è stato dell’odio da cui quella vita nacque? forse che la vita non nasce dall’amore o almeno dall’attrazione reciproca di due esseri? Come può entrare a patti una nuova vita con l’abominio da cui essa stessa venne? Io non lo so, non so niente delle vite delle donne stuprate, io non lo so. Troppo smisurata la loro grandezza per le mie povere capacità di misura. Ma so che vissero e che misero al mondo bambini e che questi bambini a loro volta vissero. Come? Neppure questo so. Troppo diverse furono le condizioni in cui si trovarono a vivere. E troppo lontane dalla mia capacità di immaginazione. Però io penso che là, in quelle nascite, si generò in abbondanza il contrario della malvagità, cioè il bene. Indipendentemente dalla loro iniziale disponibilità a partorire, quelle donne consegnarono la loro vita a un progetto di futuro nel bene. Quello dei loro figli, quello dell’umanità intera.
E quando lo fecero sui confini tra un paese e l’altro, tra chi attaccò e chi subì, misero al mondo figli degli uni e degli altri. Che inevitabilmente se non eliminarono, almeno attenuarono la rigidità dei confini. Creando mondi composti, mescolati, in cui i confini non avevano senso. Fino a quando non si fecero avanti uomini malvagi che soffiarono sulle ceneri del fuoco delle divisioni, quelle stesse ceneri che le donne stuprate avevano tenuto spente con il fatto stesso di far nascere i propri figli, e allora rimisero i confini. E tornarono le soldataglie e altre donne furono stuprate.
Questa è la storia del mondo intero, dell’America del Nord come del Sud, del Medio oriente come dell’Estremo oriente, ed è la storia dell’Europa, della Russia, dell’Ucraina. E vedrete, continuerà ad essere la storia futura fin quando uomini malvagi sedurranno altri uomini ciechi ad alzare muri e disporre confini.
Io credo che il debito dell’umanità verso le donne stuprate di tutte le guerre (ma perché allora solo delle guerre?) sia immenso, tale che cento premi Nobel, diecimila monumenti, un milione di celebrazioni sarebbero poco. Eppure è difficile trovare sui libri di storia il riconoscimento al reintegro di umanità che grazie a loro si ebbe nei luoghi in cui le guerre l’avevano cancellata.