Voglio salutare Roberto ricordando la felicità del suo sodalizio intellettuale e umano con Annabella Rossi. Che si esprimeva con allegria e ironia: erano le due modalità principali dei loro incontri e dialoghi. Forse perché avevano scoperto di essere gemelli intellettuali e perché avvertivano che il dialogo che vivevano (non facevano, ma vivevano) elaborava le loro doti personali, apriva i loro mondi interiori, e li esaltava. Come una luce che prende luce da un’altra e al tempo stessa la dà. Fenomeno che non esiste in natura se non tra esseri umani che si scoprono gemelli.


Ma forse anche perché avevano capito fino in fondo il senso del Carnevale che andavano osservando, indagando e studiando nel gruppo di ricerca (di cui mi onoro di aver fatto parte) che poi diede luogo al libro ormai introvabile “Carnevale si chiamava Vincenzo”: una risata in faccia al mondo.

 
Roberto è andato via quarant’anni dopo Annabella. Con un’amarezza. Non aver visto quel museo che lui auspicava nascesse intorno alla sua straordinaria collezione privata che già da sola sarebbe un museo. Di tradizioni, di cultura popolare, di Napoli tout court, di culture subalterne, chiamatelo come vi pare, ma un museo che fosse il centro mondiale di quello straordinario patrimonio culturale che s’addensa in Campania e in tutto il Sud.
Roberto non l’ha visto perché non è stato costituito. Più volte all’avvicinarsi di campagne elettorali si sono fatti avanti politici che gli promettevano mari e mondi. Dopo le elezioni si facevano negare. Roberto era spigoloso nei rapporti ufficiali, anche molto, ma si fidava della parola che gli veniva data. Rimanendo ferito tutte le volte che essa veniva tradita.

 
Ma la sua grandezza rimarrà mentre la “nullezza” dei politici che lo ingannarono scomparirà, è già scomparsa. Napoli e la Campania sono centri di irradiazione di una cultura che aleggia nel Pantheon delle culture mondiali più note, cercate, amate. Eppure non ha un luogo fisico suo, in cui possa presentarsi con tutta la ricchezza del suo splendore. Era questo ciò che Roberto auspicava. Non l’ha ottenuto, ma lui, il suo nome, la sua arte, i suoi doni intellettuali ed estetici, quelli rimarranno.

 
(La foto. Montevergine 1974. Un gruppo di pellegrini siede ai tavoli di un ristorante sotto il santuario. I riti del mattino si sono conclusi, ora i pellegrini si ristorano, tra poco vorranno cantare e ballare. A uno di questi tavoli c’è Roberto De Simone, c’è Annabella Rossi, c’è Marialba Russo, ci sono io, c’è qualche studente. A un certo punto Annabella comincia a  fare domande al tavolo vicino. Si ride, si scherza, uno intona una "fronna", un altro un canto "alla carrettiera", poi Roberto entra con le sue domande, i pellegrini capiscono che non è un turista di passaggio, che ne capisce. I tavoli vicini si fanno intimi. Annabella propone una tammurriata e dice che Roberto sa suonare il tamburo. Ma non c’è un tamburo (poi verrà Franco Tiano e lo porterà), allora qualcuno ne prende uno giocattolo dei bambini che sono là e Roberto comincia a suonare, il cantatore canta, il ritmo cresce, si battono le mani, si balla, comincia la festa. Ricerca antropologica sul campo).
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