Ho incontrato Rosetta Senatore a casa sua, a Salerno. Artigiana, imprenditrice e insegnante di artigianato di borse, "grande appassionata di politica e di storia", 96 anni portati benissimo. Due ore di racconto, fluido, appassionante, con picchi di entusiasmo narrativo. Qui ho inserito più o meno la metà, il resto è nel mio archivio.
Mi aveva invitato il figlio, Giuliano Manzo, "Meglio lei di noi figli", mi aveva scritto, "a noi ci tradisce l'affetto filiale". Eccomi dunque a casa loro in una luminosa mattina di dicembre. Io sono già nel salotto, quando arriva Rosetta, accompagnata dalla figlia Liliana. Sorride, è a suo agio, si sistema su una sedia che non l’affondi, “voglio potermi alzare facilmente” e comincia a parlare. Oltre due ore di memorie che si accavallano, sfuggono e poi rientrano, seguono un filo più che cronologico, “etico” e di senso della vita. La memoria dà il senso o lo ritrova – continui i suoi giochi di domande: “ho fatto bene?”, quando la risposta per lei era già ovvia: “Certo che sì”.
Ciò che mi appassiona di questa finestra che ho aperto nella Newsletter, “Raccontami la tua storia”, è la possibilità che viene offerta a chiunque di piazzarsi sul crinale della memoria e dire a chi ascolta: “ecco, questa/questo sono io”. Una performance di sé che diventa richiesta di riconoscimento di sé. Una “pacifica” transazione in cui una persona si racconta e altre ascoltano, senza recriminazioni, senza risentimenti, senza aggressività incrociate, un semplice: eccomi, sono qui, sono io davanti a voi. È ciò che ha fatto Rosetta Senatore ed è ciò che io ho ascoltato: una persona soddisfatta di sé e un ascoltare che coglieva e accoglieva questa soddisfazione.