Antropologo a domicilio n°26 (9.10.2017)

- Vuoi diventare tutore di un “minore straniero non accompagnato”?
- E chi sono i minori stranieri non accompagnati?
- Migranti che arrivano in Italia e hanno meno di diciotto anni. Sono partiti dalle loro case, in genere dall’Africa subsahariana, ma anche settentrionale, e da alcune zone dell’Asia sconvolte da guerre, catastrofi, povertà estrema. Non accompagnati dai parenti perché magari li hanno persi nel viaggio, durato anche anni. Altre volte sono soli perché gli stessi genitori li hanno mandati in Europa per un progetto economico, come gli emigranti italiani di una volta, che partivano per il continente americano per aiutare la famiglia lontana. Sono venuti in Italia con ogni mezzo, molti sbarcati dalle carrette del mare sulle coste del Sud. Sono quelli che hanno attraversato il deserto, sopportato l’inferno libico, sopravvissuti alla traversata per mare. Sopravvissuti a tutto. Ce ne sono parecchie migliaia in Italia e finalmente lo Stato italiano ha deciso di intervenire con una legge importante, la n. 47 del 7 aprile 2017, che tra le altre cose dà disposizioni perché vengano nominati dei tutori italiani di questi ragazzi, i quali da soli non potrebbero far valere i loro diritti. Loro stanno in strutture di accoglienza più o meno adeguate, non sempre sono bene accolti nelle scuole, spesso rischiano di scomparire per chissà dove, forse alla ricerca di parenti in altri paesi europei, forse catturati dalle reti delle organizzazioni criminali o addirittura peggio. Dunque vuoi diventarlo?
- Ma devo portarlo a casa questo minore che mi viene assegnato? devo pagargli le spese?
- No, niente di tutto ciò, non è un’adozione e neppure un affido. Tu diventi un tutore legale, cioè rappresenterai il minore davanti alla legge, alle istituzioni. Firmerai per lui: scuola, assistenza medica, eventuale domanda per una “protezione internazionale” secondo le leggi europee. Però anche qualcosa in più. Te ne dovrai prendere cura. Lo incontrerai, gli parlerai, lo consiglierai, lo aiuterai nell’adattarsi alle nuove condizioni di vita. Dunque vuoi?
- Che bisogna fare?
- C’è un bando. Basta cercarlo su Internet. Ma te lo dico in breve: devi fare domanda e presentare curriculum. Da cui risulti che stai a posto con la legge e che hai certi requisiti, niente di speciale. Poi ti chiameranno perchè dovrai seguire un corso di formazione.
- Mi sembra giusto, se si ignora ciò che bisogna fare è necessario imparare, e in questo caso parecchie cose. E di che corso si tratta?
- Sono corsi locali, regionali, comunali, ma sotto l’egida del Garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, che ha inviato a tutte le regioni delle linee guida per la loro organizzazione. Dureranno tra 24 e 30 ore.
- Bene. E cosa dicono queste linee guida?
- Che il corso deve essere “multidisciplinare”, e per questo diviso in tre moduli di 8–10 ore ciascuno. Il primo modulo è “fenomenologico”.
- Vale a dire?
- In queste lezioni viene presentata una specie di fotografia della situazione dei minori stranieri non accompagnati (da qui in avanti li chiameremo MSNA, d’accordo?)
- (D’accordo).
- Dunque, dicevo, una fotografia della situazione dei MSNA: i dati dei loro arrivi, le provenienze, le strutture di accoglienza, eccetera.
- 8–10 ore? Ma non sono troppe per presentare questi dati?
- In effetti alcune regioni hanno ridotto le ore del modulo fenomenologico o non l’hanno neppure inserito. Poi c’è il modulo giuridico. Che è fondamentale: la legge 47, poi le altre leggi italiane, i regolamenti, le disposizioni. E poi le norme europee, infine quelle dell’ONU, comprese le convenzioni sui diritti del fanciullo. Un bel pacchetto. Necessario. Perchè la prima cosa che deve essere chiara al tutore è il quadro legislativo entro cui lui darà il suo contributo.
- Bene. Mi pare giusto. 8–10 ore?
- Sì, 8–10 ore.
- Tante, eh!
- Sì, ma necessarie.
- Andiamo avanti.
- Infine c’è il modulo psico-socio-sanitario.
- Prego?
- Psico-socio-sanitario. Sai, non si scherza con questi problemi. Ci sono delicate questioni psicologiche, no? lo sai che ci sono minori vittime di tratta? e minori che soffrono di stress post-traumatici e altri disagi psichici? E’ necessaria una formazione psicologica di base. E poi ci sono le questioni sociali in senso generale, quelle di cui si occupano gli assistenti sociali e gli “esperti” di MSNA. Per esempio quelli che gestiscono le strutture di accoglienza. Infine ci sono i problemi sanitari, la salute del ragazzo…. è un diritto fondamentale, no?
- E... sì, mi pare giusto anche questo. E sono pure poche 8–10 ore. Però…
- Però?
- Però… mi pare… non so, è come se ci mancasse qualcosa.
- Come? C’è tutto!
- Questi ragazzi… hai detto che vengono in gran parte dall’Africa subsahariana, giusto?
- Giusto. Mali, Senegal, Gambia, Ghana, Costa d’Avorio…
- E da quella settentrionale, giusto?
- Sì. Soprattutto Egitto.
- E poi dall’Asia, giusto?
- Giusto. Certi paesi dell’Asia: Bangladesh, Afghanistan, Pakistan…
- Culture lontane…
- Embè? Questi ragazzi vogliono diventare italiani, europei, vogliono….
- Ci sono studi in proposito che dicono ciò che i ragazzi vogliono? Che li fanno parlare? inchieste? questionari? interviste in profondità? campionamenti? statistiche? Insomma qualcosa che ci dica qual è il loro punto di vista?
- Beh, no, non proprio… qualcosa c’è, vogliono fare i calciatori, così dicono, qualcuno dice che vuole studiare, ma…
- Dunque non sappiamo nulla davvero dei loro progetti, sogni, bisogni. Solo prime impressioni, superficialità…
- Ma i bisogni sono ovvi no? Scappano dalle guerre, dalle calamità naturali, dalla povertà.
- Scappano? Tutti? Mi hai detto che alcuni sono qui per un progetto preciso delle loro famiglie, no? che hanno investito su di loro. Si sono indebitati per mandarli in Europa a guadagnare, no? Quindi ci sono almeno due gruppi, quelli che scappano e quelli che sono venuti qui volontariamente. E poi ce ne saranno altri…
- Sì, ma comunque si tratta di minori, sono soprattutto minori. È così che dobbiamo guardarli.
- Minori, certo. Quanti anni hanno?
- Età diverse, ovviamente.
- Piccoli?
- Pochi in verità. Più dell’80% hanno 16–17 anni. Se ci metti i quindicenni superano abbondantemente il 90%.
- Quasi adulti dunque. Anzi, adulti fatti, per le loro esperienze di vita.
- Ma sono ragazzi, che vogliono ciò che desiderano tutti i nostri ragazzi, una casa, un avvenire, un lavoro futuro, una sicurezza.
- Sì vogliono queste cose… ma io insisto, sappiamo poco di loro. O proprio nulla. Se sono migliaia hanno migliaia di progetti, di aspettative, di sogni. Non sono la “categoria” dei MSNA, in blocco. Sono migliaia di vite diverse. E migliaia sono le case che hanno lasciato, e i parenti e gli amici e i vicini. Migliaia le terre, le albe, i tramonti, i giochi, i profumi, i cibi. Migliaia le musiche, le danze. Una diversa dall’altra. Ciascuno ha le sue, nelle sue abitudini, nei suoi gusti, nella sua memoria. Come del resto noi, ciascuno di noi è innanzitutto “se stesso”, poi italiano e tutto il resto appresso, e così i nostri figli, i nostri cari. Non si può fare di tutta l’erba un fascio, tipo: “ecco, sono MNSA”, tutta una pasta confusa. E le lingue poi? sai che ci sono regioni dell’Africa dove si parlano decine di lingue diverse, e le lingue sono le mamme, sono i papà. E dimentichiamo le religioni? le credenze, i miti, le storie? e i giochi, le feste, le pratiche rituali? Convienilo: sappiamo poco o nulla di tutto questo. Diciamo MSNA e ci pare di aver detto tutto. In realtà abbiamo messo nello stesso vaso centomila fiori diversi. Ognuno con i suoi colori, i suoi profumi. Centomila fiori stretti nello stesso vaso. È per questo che ci manca qualcosa nel vostro corso di formazione….
- Sarebbe?
- Qualcosa che insegni ad apprendere la diversità, a misurarsi con essa. Ecco, qualcosa che dia la misura della diversità. Non un’enciclopedia di usi e costumi, ma qualcosa che renda sensibili alla complessità delle persone, delle cose, dei mondi di provenienza.
- Ma in futuro… si potrà migliorare…
- È il presente che un po’ mi spaventa, mi turba. Perché è senz’altro un ottimo provvedimento fare appello alla disponibilità dei singoli cittadini, fuori delle istituzioni e delle strutture di accoglienza, che inevitabilmente guardano alle “categorie”, non alle persone concrete. Però nell’incontro tra uno di noi e un minore straniero — io con Mohamed, tu con Omar, per esempio — la complessità stessa delle nostre vite che si incontrano quasi al buio, rischia di generare frizioni. Ci sono le aspettative reciproche, e c’è la realtà. Vale per Mohamed e per Omar, ma vale anche per me e per te, sai! Perché pure noi abbiamo aspettative su di loro. Ce li immaginiamo così o colì. E se non sono così o colì, potremmo sentirci delusi o impotenti. O magari irritati. Che facciamo allora, scarichiamo il minore? gli spezziamo un nuovo legame?
- Ma per questo c’è il quadro legislativo. Tutto verrà affrontato e regolato in quel quadro.
- Mah! Una cosa sono le leggi, anche importanti, e su cui certo il corso di formazione offrirà tanto, un’altra le pratiche reali, i comportamenti concreti. C’è differenza tra la norma e il fatto, ce lo insegnano gli stessi giuristi.
- Oh insomma, questi corsi dovevano cominciare al più presto. La legge è entrata in vigore prima dell’estate e entro novanta giorni si dovevano fare gli elenchi dei tutori regionali presso i tribunali dei minorenni…
- Non è bello mettersi dietro il paravento della legge. La vita sta da un’altra parte. Per esempio io mi chiedo: perché uno decide di diventare tutore? Quali spinte, quali motivazioni, quali valori lo muovono?
- Tu dici: la vita sta da un’altra parte, e poi ti metti a fare filosofia. Qui c’è un’emergenza, non possiamo perdere tempo, qui c’è da applicare in fretta la legge.
- C’è sempre un’emergenza in Italia. Ma interrogarsi sui perché dei tutori volontari è a suo modo un’emergenza.
- OK. Ci possono essere ragioni umanitarie o religiose o di cittadinanza attiva o che ne so. Mi dici che importanza ha? Ciò che conta è che ci sia la disponibilità ad assumersi gratuitamente una responsabilità così delicata.
- Appunto: delicata. E le motivazioni che spingono, come pure i valori che stanno dietro, non sono cose secondarie. Il minore straniero che ha subito un taglio radicale delle sue relazioni primarie, soprattutto quelle affettive della sua famiglia di origine, ma anche altre, con questa legge entra in una nuova relazione. Che allora diventa delicatissima. Come si fa a sottovalutare una cosa del genere? a ignorare la sua complessità? Tra il tutore e il minore a lui affidato dovrebbe stabilirsi una relazione non dico affettivamente forte, ma almeno positiva. E credimi, non è affatto facile, non è affatto facile, non si improvvisa, perché il tutore deve avere, e se non ce l’ha deve acquisire, una capacità di apertura, di ascolto, di tolleranza persino, e non è roba facile. E deve persino relativizzare la sua visione del mondo, aprirla alla luce della conoscenza di quella del minore, che non deve sentire automaticamente “inferiore” poiché non sua.
- Ma sì, d’accordo, si potrà fare, si farà. per questo ai tutori viene chiesta empatia, cuore aperto, viene chiesta persino “com-passione”.
- Qualità importanti, ma non sufficienti. Perché occorre anche una buona dose di conoscenza, di competenza, quasi una sorta di “professionalità”.
- E per questo che c’è il corso. Soprattutto la parte psicologica del corso.
- Ma la psicologia prevista nel corso è la “nostra” psicologia. Gli stessi psicologi non sempre sono consapevoli che esistono altre “menti”. Altri sé, altre costruzioni del sé, altre relazioni tra le persone che forgiano altre forme psichiche dello stare al mondo. Anche il disagio psichico può essere diverso, lo sai? Ciò che noi chiamiamo disagio psichico può essere frutto di conflitto culturale. Cioè non nasce nella testa della persona che soffre ma nella vita sociale. Ci sono fior di studi su questi temi. Lo sai che esiste una “etno-psichiatria” che cerca proprio di studiare la diversità delle forme e delle sofferenze psichiche? Lo psicologo dovrebbe avere anche queste competenze. E trasmetterle…
- Noi ci auguriamo che il nuovo sistema di accoglienza disegnato dalla legge 47 ridurrà lo spazio dei disagi psichici.
- Auguriamocelo tutti. Però tieni presente che la società italiana — come e non so se più di quella europea — sta scivolando oggi in una xenofobia dichiarata, in un proto-razzismo o proprio razzismo strisciante. Certo un tutore volontario non ne sarà vittima. Ma dovrà fronteggiare mentalità del genere anche nel suo stesso ambiente. E lui stesso forse ne sarà involontariamente contagiato. Magari con una forma di paternalismo implicito: “loro” sono inferiori e dunque l’accoglienza deve essere un processo di educazione alla “Civiltà”. La nostra, ovviamente. Questo si chiama “etnocentrismo”. Partiremmo male così, molto male. Rischieremmo di costruire i fallimenti futuri di una società che non riuscirà a “includere”, ancor prima e più che “integrare”. Certi fallimenti delle politiche cosiddette “multiculturaliste” in Europa sono sotto i nostri occhi. Se di fatto si stabiliscono gerarchie, stratificazioni sociali e culturali sulla base di “etnie”, religioni, provenienze geoculturali, colore della pelle, non si fa un buon lavoro di inclusione nella società. E prima o poi se ne pagheranno le conseguenze…
- Ma allora…
- Allora non capisco, non si capisce perché ci sia una totale o quasi assenza di quella scienza che studia proprio questi complessi processi delle vecchie e nuove differenze culturali, dei meticciamenti e dei rifiuti, delle identità minacciose, dei meccanismi di inclusione e di esclusione sociale. Una scienza che vaccina contro l’etnocentrismo. Che insegna a guardare ai mondi culturali come mondi di “senso”, non un cumulo di sciocchezze ed errori. Che invita a capire prima che a giudicare.
- Cioè?
- L’antropologia culturale. C’è oggi in questa specie di esplosione del mondo nel quale viviamo, in questa moltiplicazione di modelli culturali, di fusione e di contrapposizione, c’è una domanda diffusa di antropologia culturale, un bisogno direi. Ma poi c’è una sordità ostinata da parte delle Istituzioni e dei Media. Come se non esistesse. Eppure per esempio parole come “cultura”, “intercultura”, “etnia”, “identità etnica” appartengono al lessico antropologico. Queste e altre. Ce ne sono tante nel linguaggio di tutti i giorni, ma quando si tratta di accrescere la conoscenza, la consapevolezza sociale, quando si tratta di avviare una franca riflessione sulle differenze, sui punti di contatto e di frizione o di scontro, e soprattutto quando si tratta di intervenire con norme e pratiche nel corpo vivo della società, allora gli enti pubblici, come anche le associazioni di settore, dimenticano l’antropologia culturale. Boh, magari sarà frutto di ignoranza, non so. Oppure di fastidio che il pensare libero e critico produce negli assetti di potere, non so.
- (Ma non è magari anche colpa degli antropologi che parlano tra loro, in un gergo che capiscono solo loro?
-Magari anche questo, sì, non lo nego. Ma ne potremo parlare un’altra volta).
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