Un archivio è un impegno per il futuro. Si accantona, si conserva, si ordina, si classifica, nella convinzione che il presente e il passato servano al futuro. Si scommette che nelle successive generazioni vi sarà voglia e interesse a conoscere del passato. Perché se ne è convinti, o forse perché ci si illude. Perché mai il passato dovrebbe servire in futuro? Non è una domanda mal posta. Guardando al modo in cui sta procedendo il nostro flusso storico e sociale, non si può essere per niente sicuri che la nostra attuale idea del passato sarà valida in futuro.
Il nesso tra passato e futuro è il presente. È nel presente e solo nel presente che si agisce, il passato è memoria di azioni, non azioni; quanto al futuro è solo nelle idee. L’unico momento temporale davvero concreto, cioè l’unico momento in cui si può agire, è il presente. L’unico momento in cui si può riflettere e decidere in che modo elaborare un cammino verso il futuro. Che comprenda o che rifiuti il passato. E se lo rifiuta, sappia di farlo, lo decida. E se invece vuole comprenderlo, lo tenga vivo. Non in polverosi archivi inutilizzati, ma in attività di vita.
Io penso che per togliere la polvere dall’Archivio bisogna bussare alle porte ed entrare nelle case. E oggi si può fare senza disturbare nessuno. Online. Nel mio piccolo – nel mio davvero piccolo – ho deciso di fare qualcosa. Ho un patrimonio fotografico, audio e video di decenni di ricerche sulle tradizioni popolari, mie, di collaboratori e studenti. Lo sto mettendo online, almeno i documenti in buon stato di conservazione. Con una cadenza più o meno quindicinale, di solito di lunedì, invio i documenti per mezzo di una newsletter del software Brevo, e poi via Facebook, Instagram, X, Spotify, Souncloud, e infine archivio in Youtube. Gli ho dato un nome: “ArchivioAntropologicoApolito”.
È un’attività di vita dell’archivio, non l’unica possibile ovviamente, ma è ciò che posso fare, come antropologo a domicilio.
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