
Ho sempre pensato che chi studia, chi si sforza di capire il mondo – e in questo se stessi e gli altri – è un privilegiato. E non credo di pensarlo solo io. Chi studia e fa dello studio la sua professione, la sua stessa vita, sa bene che ciò che dico è vero. Che il piacere della conoscenza che lui prova, l’ebrezza quasi, sono “tesori” che anche altri avrebbero potuto avere, se ne avessero avuto le possibilità, le condizioni, la fortuna. Per questo penso che chi si trova in tale stato abbia il dovere di restituire qualcosa agli altri, alla società che gli ha dato questa possibilità. Studiare, scrivere libri, fare lezioni, per un docente è già restituire. Ma nessuna restituzione è sufficiente perché a un certo punto si decida di fermarsi e pensare solo a sé.
Nella professione di studioso si dà innanzitutto qualcosa agli altri dando “prova” di sé. Come dire: ecco ciò di cui sono capace, prendetelo. Nella stagione matura nella quale mi trovo, non devo più provare a me stesso o agli altri ciò che valgo, ciò che posso fare. Ciò che potevo fare l’ho fatto, più o meno. Ma continuo a sentire l’esigenza di restituire, almeno in parte, ciò che gli altri, la società, il mondo umano mi hanno dato.
Nel mio piccolo, minimo, tanto minimo da risultare quasi invisibile, ho pensato di realizzare questa Newsletter dell’antropologo a domicilio, nella quale scrivere alcune mie riflessioni. Ma non mi bastava. Non mi basta parlare da un “pulpito”. Ho in mente ben altro.
La peculiarità dell’antropologo/a – e questa è davvero antropologia – è che costruisce le sue conoscenze in mezzo agli altri, guardandoli, ascoltandoli, vivendo in mezzo a loro, persino facendo le loro stesse cose. Per chi fa questo mestiere, gli altri sono i principali depositari del sapere che egli cerca di raggiungere: sei tu, siete voi, i depositari dei mattoni con cui posso costruire la casa della mia conoscenza, dice un antropologo alle persone in mezzo cui studia. Ecco perché un “pulpito” non mi basta.
Sento il bisogno di aprire UN CERCHIO CON GLI ALTRI e di fare di questa Newsletter un campo di ascolto e di dialogo.
Forse metterò in piedi un’associazione in cui aprire “cerchi”, e non online, ma in presenza. Ma questo dopo. Per ora mi concentro sulla newsletter.
Due delle rubriche che ho aperto hanno lo scopo, appunto, di aprire “cerchi”: “Oggetti d’affezione” e “Raccontami la tua storia”. Da un certo punto di vista esse sono inviti a parlare di sé. È vero. Ma solo in parte lo sono. La posta in gioco è un’altra, ciò che risuona in quelle due rubriche è: “SONO CURIOSO DI TE”, come mantra da propagare, da farne in virus benefico.
La curiosità per gli altri è una risorsa umana fondamentale. I bambini ce l’hanno fortissima. Appena prende consapevolezza del mondo fuori di sé, un bambino è attratto dagli altri. Non puoi passarci davanti senza che lui ti guardi e continui a guardarti mentre ti allontani. Poi, da adulti, oggi soprattutto, in mezzo alla folla degli altri che ci scivola intorno, questa curiosità l’abbiamo persa o almeno ridimensionata.
Quando penso al “cerchio con gli altri” ho in mente che noi – io e chi segue questa newsletter - diciamo a qualcuno: “ora è il tuo turno, parlaci di te”. Parla, che noi ti ascoltiamo. Questo è il punto fondamentale: la relazione di ascolto.
A parlare siamo buoni tutti, ad ascoltare pochi. Relazione-di-ascolto. Relazione: “non parli al vento, e neppure a te stesso, parli a me, a noi”. E quando mai? Oggi nessuno ha più voglia di ascoltare un altro.
Ascolto: “non sto pensando a quando finalmente parlerò io, ma sto dedicando tutto me stesso ad ascoltare te”.
E se ce la faccio, allora scoprirò quanto è profondo, unico, colorato il mondo-di-te che tu mi trasmetti. Mondo incantato.
Qualcuno forse penserà: “ma io non sono così importante da raccontarmi in pubblico. Sono uno come tanti”.
E invece nessuno è come tanti, ognuno ha il suo intreccio di esperienze, idee, sentimenti, casi di vita.
Qualche altro invece direbbe: “questo ci vuole ascoltare per studiarci. E che siamo formiche?”. No, il mio progetto non è raccogliere nel mio archivio una galleria di autoritratti e autobiografie. Il mio “sogno” è un cerchio di persone che ascoltano, non uno solo: l’antropologo sul trono.
Ma ecco un altro che magari direbbe: “un cerchio come gli alcolisti anonimi? Come i tossicodipendenti? Come quelli che stanno male?” e allora io replicherei: com’è possibile che il cerchio della simmetria umana, del mettersi uno affianco all’altro, del dare a ciascuno lo stesso ruolo sia ridotto solo alla sua (benefica quando è valida) funzione terapeutica? Sì, è un cerchio, ma non è per guarire da qualcosa, è per darsi momenti di vita insieme.
Ecco, più o meno questo è l’obiettivo di questa mia nuova newsletter. Ma da solo, è chiaro, non ce la faccio.